domenica 6 aprile 2008

Tutta la vita davanti


Sono andata a vedere l’ultimo film di Virzì come si va a sentire un racconto sapendo che probabilmente in quel racconto sarà possibile identificarsi. Sono uscita dal cinema con un forte senso di angoscia e di tristezza, incapace di esprimere un giudizio compiuto sull’opera in quanto tale e piuttosto provata dal fatto che quanto è rappresentato in ‘Tutta la vita davanti’ è tragicamente reale. Persino troppo, a tal punto che l’assenza di una prospettiva di riscatto o comunque di speranza, mi pare appiattire la storia della precarietà contemporanea ad un orribile bozzetto dove non si salva nessuno, in particolare gli uomini, del tutto privi di una elementare moralità che pare invece albergare almeno nella giovane protagonista laureata e per questo ritenuta ‘strana’.

Trovo oggi sul supplemento domenicale del ‘Sole24Ore’ una bella critica di Roberto Escobar* che mi sento di condividere anche se è chiaro che l’autore non ha mai provato sulla sua pelle nemmeno un briciolo di quanto è raccontato nel film. Come rappresentante della generazione precaria ormai adulta - mentre quella del film ritrae una neolaureata in filosofia alle prese con il primo lavoro in un call-center -, mi piacerebbe offrire qualche riflessione a margine di un dibattito che immagino potrà svilupparsi a partire da questa 'commedia all'italiana'.


In primo luogo va detto che la volgarità e la spietatezza nel rapporto tra colleghi all’interno di un call-center - secondo quanto dipinto dal film - caratterizza anche molti altri luoghi che non sono aziende dell’ultim’ora ma quotati centri di produzione di informazione o addirittura di cultura. Mi è capitato di assistere a commenti da postribolo all’interno di un’agenzia di stampa come in un’azienda informatica effettivamente ‘dell’ultim’ora’ seppure inserita all’interno di un onoratissimo campus scientifico e tecnologico. Negli stessi ambienti ho visto donne con sguardi assassini, abbrutite da un eccesso di ore di lavoro, così come uomini senza scrupoli o semplicemente ignoranti appollaiati su alte posizioni dirigenziali e di potere. Quindi esiste un fenomeno di volgarizzazione generale che non è ghettizzabile solo nel luogo-simbolo della precarietà attuale che è il call-center.


Tale processo di caduta libera verso il basso detta anche decrescita culturale o scadimento dei costumi mi appare molto più preoccupante della crescita-zero economica tanto evocata nei tg e nei dibattiti politici pre-elettorali. Mi pare molto più preoccupante, in sostanza, che un laureato in filosofia non riesca a farsi capire da chi sta seduto dietro una grossa scrivania. Ancora più preoccupante è, a mio parere, il fatto che ci sia una evidente disparità tra il numero di persone che escono dall’università con un titolo di studio e il numero reale di posti di lavoro disponibili per queste persone. Chi di noi ha frequentato una facoltà umanistica conosce bene il problema, che però come al solito presenta altre variabili da prendere in considerazione; queste sono, per esempio, la stessa preparazione universitaria spesso carente e superficiale e il mercato delle lauree, che vengono spesso conferite con mano molto generosa livellando i ‘dottori’ in un universo omogeneo dove è impossibile identificare eventuali eccellenze. Si danno poi anche casi in cui gli studenti vengono costretti a stazionare un numero esorbitante di anni all’università per ritrovarsi poi con un titolo di studio che non offre una reale preparazione, o almeno non risulta spendibile nel ‘mondo del lavoro’.


Qui si innesca la domanda: ma l’università dovrebbe davvero formare persone in grado di trovare un posto adeguato nel ‘mondo del lavoro’ oppure dovrebbe formare piuttosto cervelli e sensibilità in grado di destreggiarsi all’interno di questo stesso mondo? A me sembra che la seconda ipotesi sia più credibile, perché per certi lavori è ben noto che la laurea non serve. Rimane comunque il problema delle condizioni del lavoro oggi: lavorare a quali condizioni? Sfruttati e deprezzati sempre e comunque perché tanto se noi diciamo no c’è qualcuno che arriva al posto nostro? Ci vorrebbe un impeto rivoluzionario alla francese. Ecco perché inizio ad apprezzare sempre di più la coinquilina gallica, che ha rifiutato di essere deprezzata da un rinomato festival che si gloria di essere tale a spese di un piccolo esercito di anonimi stagisti.

*articolo intitolato 'Bufale per casalinghe' - 'Tutta la vita davanti' di Virzì si propone come un film che spiega volgarità e precarietà delle società attraverso un call center, ma si riduce a commedia grottesca

3 commenti:

utente anonimo ha detto...

A suon di sentirmi dire che questo è il karma, comincio a sentirmi un mandala (versione buddista del Co.co.co)
mroz.ek

lucicosmo ha detto...

Se sei a Trieste nei prossimi giorni, manda un fischio! E' il tuo karma che cambia...(Ligabue buddista)

utente anonimo ha detto...

si può fare (mroz.ek buonista)