sabato 2 settembre 2023

Storie di umani e granchi blu

Il treno corre e il signore è immerso nella lettura del 'Corriere della sera' del 17 agosto (il pezzo è “postumo”). La conversazione si accende sulla notizia in prima pagina del governatore del Veneto che ha intenzione di distribuire chili di granchi blu alla popolazione della regione per arginare l’invasione di questi anomali crostacei killer: distruggono tutto, persino le reti di pescatori. Urge pertanto una soluzione, che potrà comprendere anche un kit di ricette a base di granchio blu, e il signore si immagina ai fornelli intento a produrre un risotto nel blu dipinto di blu.

Dal granchio blu ai migranti che arrivano sulle coste del nostro Paese il passo è breve. E’ l’argomento del giorno, o meglio del decennio. “Ah, tutta la gente che viene dall'Africa! Ah, come sarà il mondo e l'Italia! Quelli hanno bisogno anche di sfogarsi, quindi le donne dovrebbero essere disponibili…” Gli faccio vedere che sto leggendo un libro scritto in prima persona da un ragazzo che ha vissuto sulla sua pelle un viaggio che noi, comodamente seduti su un un treno ad alta velocità, non riusciamo nemmeno ad immaginare: Fratellino, di Amets Arzallus Antia e Ibrahima Balde, quest’ultimo un ragazzo della Guinea che parte alla ricerca di suo fratello e fa esperienza di un vero e proprio calvario. Trasferimenti di città in città a bordo di camion stracolmi, e poi carceri nel cuore del deserto, prigioni, torture, armi puntate, la vita che è continuamente messa in pericolo e disumanizzata. Soltanto perché uno ha deciso di mettersi in viaggio lasciando il suo Paese d’origine nel cuore dell’Africa.

La dolcezza dell’Appennino fa scordare tutto. “Eh, arrivano senza documenti!” Gli leggo proprio il punto del libro in cui il ragazzo racconta che il documento gli è stato preso e gettato via, per frugare nei suoi vestiti alla ricerca di soldi, e lui stesso dice che senza documenti si vale meno di una capra. Pensare che noi viaggiamo così bene, con l’aria condizionata per non sentire il caldo; abbiamo da mangiare, da bere, siamo liberi di muoverci con tutti i nostri documenti al seguito, non abbiamo paura di incappare in posti di blocco o controllori armati che ci puntano un kalashnikov alla testa, come Ibrahima racconta nella sua storia autobiografica.

Il signore è arrivato a Firenze, ma prima di scendere evoca altri scenari apocalittici: “In futuro cosa mangeremo? Insetti in scatola! Noi avevamo i Medici nel Rinascimento, oggi c’è un decadimento, cosa lasceremo ai posteri? I cellulari!” Vedrà che i giovani lo cambieranno questo mondo, sono molto fiduciosa. “Sì, con l’apericena!” Il signore prende la valigia e raggiunge la porta che si apre sul caldo asfissiante di qualche giorno fa. Invece sotto i miei occhi prosegue il racconto dell’odissea sventurata dei migranti, o meglio di un ragazzo con un nome e cognome, e il sogno di ritrovare un fratello perduto. Non parte perché si era messo in testa di invadere un Paese; non perché desideroso di migliorare la sua situazione di vita; non per guadagnare di più; non per fare il terrorista. Si era messo in viaggio per andare a cercare suo fratello scomparso di casa. Per un legame familiare forte, messo prima di qualunque altra urgenza.

Ed eccola la verità, dopo ore di cammino senza cibo e maltrattamenti di ogni genere. Si trova scritta a p.63: “L’altro giorno, uno di qui mi ha detto che l’Europa dà un sacco di soldi alla Libia perché non lasci partire i migranti, e per questo in Libia ci sono tante carceri piene di gente come me. Io non so se è vero, non capisco molto di politica, ma so cos’è la Libia. La Libia è una grande prigione, ed è difficile uscirne vivi.”

Di fronte a questa affermazione scritta così chiara, nero su bianco, non riesco più a guardare lo schermo con le notizie degli arrivi dei migranti e degli hotspot al collasso come prima. Ora so che cosa c’è dietro a quegli arrivi. Conosco la storia di uno di loro, la sua verità. E’ arrivato a desiderare di voler morire piuttosto che vivere attraversando un continuo inferno in terra d’Africa, diventata uno stato di polizia per chi cerca di percorrerla non per turismo o altri seppur nobili intenti, ma perché africano tra gli africani.

La brama inesauribile di soldi? La miseria? Gli interessi spudorati di un Occidente che vende armi e fa accordi con Paesi diventati stati-prigione? Che cosa è accaduto a quell’enorme continente in questi ultimi decenni, perché oggi non sia possibile muoversi da uno stato all’altro in modo umano? Nel libro-testimonianza di Ibrahima protagonisti di tutto, movente di ogni bruttura ed orrore, sono i soldi: chiesti di continuo, estorti con la forza, rubati. Un mondo senza etica, senza umanità, senza scrupoli. Impossibile anche solo da visualizzare per noi che guardiamo lo splendore del cielo blu intenso centro-italico. E riaffiorano altre dichiarazioni del signore fiorentino: “Come se a noi dicessero: ecco lì troverete il paradiso, vi daranno una casa, e allora noi ci mettessimo in testa di invadere l’Africa!”. Abbiamo fatto precisamente questo in passato, caro signore, con rigore geometrico a partire dalla Conferenza di Berlino del 1884: l’Africa divisa come una torta. Colonizzato ogni centimetro buono da sfruttare.

Ed oggi che cosa siamo capaci di dire? Noi come Italia? Noi come Europa? Se tu stai male e sai che si può stare meglio, non prenderesti il primo treno ad alta velocità per lasciarti tutto alle spalle ed iniziare una nuova vita? Che cosa accadeva all’inizio del Novecento ad Ellis Island, isolotto davanti a New York? Sotto la statua della libertà noi cercavamo un futuro migliore. Perché non rileggiamo i numeri di quella migrazione? “A partire dalla metà del XIX secolo milioni di persone giunsero negli Stati Uniti da ogni angolo del mondo, ma soprattutto dall'Europa. La porta d'ingresso della maggior parte di loro fu New York: tra il 1855 e il 1890 la città accolse otto milioni di migranti.” Milioni, non migliaia. Leggiamolo tutto l’articolo su Ellis Island, l'isola degli immigrati, per capire come, se c’è la volontà di affrontare un problema senza strumentalizzazioni politiche o vili preoccupazioni elettorali, la soluzione si trova.

Mentre arriviamo a destinazione e fuori sfila il verde, la bellezza, i borghi medievali, sfilano anche le notizie date in pasto ai passeggeri come noccioline: i 2000 migranti che affollano l’hotspot di Lampedusa, il “problema” al quale sembra che nessuno riesca a trovare una soluzione: politici nostrani, politici europei, riunioni, tavoli, tanta materia grigia che dovrebbe occupare una posizione per affrontare un “problema” che potrebbe essere risolto con l’accordo, con la mediazione, con l’intelligenza, con gesti concreti. Anche piccoli, come quello della signora che l’altra mattina ha chiamato la trasmissione di Radio3 ‘Prima pagina’ per dire che lei, di sua spontanea iniziativa, sta ospitando una famiglia irachena, e che sarebbe tanto bello se il Governo potesse finanziare programmi di accoglienza come quello messo in pratica dalla signora generosa e di buon cuore senza leggi né decreti sicurezza.

Dove sei, Italia? Dove sei, Europa? Abbiamo ancora un’etica? Crediamo ancora nella nostra Costituzione? Crediamo davvero che siamo tutti un’umanità unica e che non ci si salva da soli? Possibile che siamo capaci di trasformare un dramma così complesso in notiziole di cronaca che non fanno altro che alimentare razzismi, incomprensioni ed intolleranze?

“Informiamo i gentili passeggeri che siamo in attesa dell'autorizzazione alla ripresa della corsa”, dice la voce asettica dal treno. Mi viene in mente per contrasto la voce potente di padre Alex Zanottelli, missionario e profeta tuonante dei nostri tempi, che chiedeva proprio l’anno scorso più attenzione per le notizie dall’Africa, continente sfruttato ma dimenticato da noi che viviamo in questa parte fortunata del pianeta. Tutti noi dovremmo leggere Fratellino per non omologarci al pensiero dominante e continuare a comprendere sempre meglio il mondo in cui viviamo. Grazie a papa Francesco per aver suggerito questa lettura durante la conferenza stampa di rientro dalla Gmg di Lisbona, lo scorso 6 agosto.

Stiamo arrivando e un signore si lamenta perché dice che hanno speso milioni di euro per far viaggiare questo treno a 100 all'ora invece che a 300. In Africa il regno del terrore, spari, fucili, crimini contro l’umanità che forse non avranno mai tribunali a giudicarli; qui il lamentificio nazionale. Chi si  rimbocca le maniche o denuncia? Si accomodi, prego, ecco servita una bella carbonara al granchio blu.

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