sabato 25 marzo 2006

Il Caimano siamo noi

Non si può vivere a Roma e lavorare a Trastevere e non andare a vedere il film di Nanni Moretti nel suo cinema, ‘Il nuovo Sacher’. Sarebbe come rifiutare l’invito di un amico, o comunque di uno al quale vuoi bene. Perché io a Nanni gli voglio bene, me lo sento vicino: fragile, nevrotico, ironico, surreale, acuto, intelligente, e non sono brava con gli aggettivi definitori di persone perché trovo che le persone, in fondo, siano indefinibili. Ma era solo per premettere che il mio giudizio è forse viziato dall’affetto (e d’altra parte: esiste un giudizio puro in assoluto?).
Il Caimano mi è piaciuto. Perché è un film sull’impossibilità. L’impossibilità di raccontare con oggettività e distacco una vicenda e una storia nella quale siamo tutti ancora implicati ed invischiati come spettatori ed attori, impotenti ed ormai assuefatti ad un’anomalia che non stupisce più nessuno. Nel film (e nella vita) sono solo gli stranieri a non capacitarsi di come un uomo come Silvio Berlusconi sia riuscito di soldo in soldo, di corruzione in corruzione, e di televisione in televisione, a diventare presidente del Consiglio e rappresentante politico di un’intera nazione. La figura del produttore polacco è perfetta: “la vostra Italietta: quando noi pensiamo che abbiate raggiunto l’abisso, voi andate ancora più a fondo”. Come dargli torto? Chiunque abbia amici non-italiani si sarà sentito domandare con incredulità: come avete fatto? E come fate ancora ad ascoltare un uomo che ha dato del ‘kapo’ ad un pari grado del Parlamento europeo accusando gli stessi parlamentari di essere ‘turisti della democrazia’ (video originale nel film), che parla di gioielli regalati ogni anno a mogli di politici suoi amici, in maniera tale da comporre una ‘parure’ completa, senza doppioni inutili (video originale nel film), che è sotto processo con capi d’accusa ben precisi ed è quasi sotterrato dai soldi. “Da dove vengono tutti questi soldi?”, è il refrain iniziale. Una domanda alla quale il Berlusconi morettiano non vuole rispondere. Salvo poi corrompere uno degli autori di questa domanda, fagocitandolo nella sua stessa ricchezza generatrice di potere e sottomissione. E forse è bene che alla storia del regista che cerca – senza riuscirci – di produrre un film su S.B., si affianchi quella personale del regista stesso: papà e marito incapace di una sana vita familiare, specchio di un’Italia che è ormai abituata anche a questo e non riesce ad imprimere una svolta significativa di fronte al precipizio. Il privato doloroso, infatti, stempera una denuncia che forse non siamo ancora in grado di produrre e sopportare.


Il Caimano siamo noi: un baratro di infelicità collettiva, una deriva sociale, politica ed antropologica che ci accomuna tutti, con il rischio che, se arrivasse qualcuno a dirci che è finita, potremmo davvero lanciargli addosso una molotov.


 

 



 


 

2 commenti:

azalais ha detto...

“la vostra Italietta: quando noi pensiamo che abbiate raggiunto l’abisso, voi andate ancora più a fondo, scavate e scavate, e non contenti poi raschiate"
Oddio, se è vero. Oddio, non oso pensare quanto potremmo sentirci orfani se ci privassero del principale motivo di lamenti degli ultimi anni.
Il film è piaciuto tanto tanto anche a me.
Ti leggo da un po'. Mi piace quello che scrivi, mi piace come lo scrivi. E adoro Italo Calvino

lucicosmo ha detto...

Bene! E' sempre bello sapere che qualcuno ti legge e ti piace. Viva Italo!