sabato 1 aprile 2006

Il silenzio è d'oro (ma anche le parole ogni tanto non sono male)
Forse due ore e quarantadue minuti di monaci certosini che pregano, spalano neve, cantano in Gregoriano, si radono i capelli, coltivano la terra, danno da mangiare a gatti terrorizzati e fissano la telecamera del regista senza profferire verbo, sono oggettivamente troppe. Mentre scorrono le immagini del film di Groning 'Il grande silenzio', vengo assalita da orribili richiami cinematografici paralleli: in primis, ovviamente, Fantozzi e la 'Korazza Potemkin' (per il mutismo generale), poi 'Brokeback Mountain' (anche lì, penso, c'è un luogo isolato dove succede qualcosa di 'inedito', ma declinato solo raso-terra seguendo la pulsione più primordiale del corpo, che non rinnego ma diamine, esisterà anche qualcos'altro, no?), e poi arrivano le immagini del vissuto: i molti monasteri visitati in questi anni di ricerca personale e - uso l'orrendo termine cattolico - vocazionale. Ne ho viste davvero tante di comunità monastiche: dalle Carmelitane di Nancy alle 'monache in città' nel cuore di Firenze, fino alla visita esclusivamente virtuale del monastero di Carpineto romano, a cui due anni fa avevo scritto un'email proprio il 1° d'aprile, venendo scambiata per un pesce d'aprile (fantastico, no?). 

Dentro, nel frattempo, succedono cose curiose. Inizio a rilassarmi, entro lentamente nel ritmo monasteriale, mi tolgo le scarpe, incrocio le gambe, me le porto al petto (non incrociate, evidentemente, se no sarei un fachiro, quantunque, via, da flessuosa, si potrebbe anche tentare...), ogni tanto (sì, lo confesso), accendo il cellulare perché non ho l'orologio e forse vorrei anche lanciare qualche sos di vita vissuta a chi non condivide l'esperienza che sto facendo, non sai mai se perché davvero ti interessa comunicare o perché cerchi sempre un conforto, una presenza, un destinatario del tuo ribollimento interiore. Ogni tanto vorrei inginocchiarmi, un po' per cambiare posizione, un po' perché il film si presta. Ogni tanto, invece, vorrei infilzare con uno spiedino il regista perché forse un'ora e mezza sarebbe stata ampiamente sufficiente e invece no: una stagione dopo l'altra, gli alberi verdissimi della primavera, la neve bianchissima dell'inverno, inquadratura di un aereo che passa, aereo1 e aereo2, e poi il monaco che prega, il monaco che mangia, il monaco che taglia la legna, il monaco che porta la sbobba ai carcerat...ehm, monaci, ed ecco sì, l'altro pensiero che mi assale inquietante è questo: ma che differenza c'è tra un monastero e un carcere, tra un monastero e un manicomio, tra un monastero e casa mia, che assomiglia tanto ad un monastero in città? ''Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre'', si ripete (rigorosamente per iscritto, in francese e in tedesco: italiano raus) tra una sequenza e l'altra del monaco che spala del monaco che prega ecc. Ecco, chissà, forse la differenza è solo questa: intensità di seduzione. Talmente forte da abbandonare tutto per qualcuno, più debole ma magari non meno vera ed autentica per qualcun altro. Che decide di rimanere nel mondo, da sedotto (e anche un po' seduto per la verità, ma questa è un'altra storia)

Nessun commento: