sabato 25 novembre 2006

E camMina camMina*...

Finita la trasmissione del sabato (
Giocando, radio2; sì, io sono quella che sembra il Gobbo di Notre Dame), mi piace camminare, un po' per ridistribuire l'adrenalina, un po' perché davvero soffro di claustrofobia da lunga permanenza in ambienti chiusi. E cammino, cammino, cammino per circa 2 ore: tutto il quartiere Prati, piazza San Pietro per una sosta contemplativa e per i bagni, dove le signore si mettono in fila sotto lo sguardo vigile della statua di San Pietro con le chiavi formato gigante (un privilegio raro trattenere la pipì con un protettore del genere a pochi passi), e poi via della Conciliazione, Castel Santangelo e...no! Ci sono ancora! Gli storni di uccelli descritti da Calvino in 'Palomar', che in genere fanno acrobazie nel cielo di ottobre, sono ancora qui. Allora mi fermo, mi incanto, e quasi quasi blocco il traffico pedestre puntando gli occhi su in alto, a seguire le straordinarie geometrie di questi uccelli. Sentite come li descrive Italo:

"Nell'aria viola del tramonto egli guarda affiorare da una parte del cielo un pulviscolo minutissimo, una nuvola d'ali che volano. (...) Si tratta di una folla aerea che sembra sempre stia per diradarsi e disperdersi, come granelli d'una polverina in sospensione in un liquido, e invece continuamente s'addensa come se da un condotto invisibile continuasse il gettito di particelli vorticanti, senza però mai arrivare a saturare la soluzione" (da Palomar, 'L'invasione degli storni').

E' proprio così, e tu non staccheresti gli occhi dal cielo, perché la fantasia di queste creature è infinita: prima un grumo nero che sembra una macchia su un libro, poi una lunga virgola, un sopracciglio, un punto di domanda, un fumettone, una nota musicale che eternamente si trasforma in qualcos'altro, obbedendo ai comandi della bacchetta magica di un direttore di orchestra ornitologica nascosto chissà dove.

E' in questi momenti che amo Roma di un amore tutto racchiuso nel nome della città e nel respiro ampio che mi conduce di strada in strada fino a casa. Entro nel portone, aspiro a pieni polmoni l'odore di bucato steso dalle finestre nell'interno corte, strappo un arancio dall'albero del giardino e faccio cadere il latte appena comprato (usuali problemi di coordinazione), e mi sento fortunata.

*CamMinare è per ora il refuso più divertente di quella summa refusorum che è 'Il castello bianco' di O.Pamuk, ed. Einaudi.

2 commenti:

F4Bi4No ha detto...

"Tu non staccheresti gli occhi dal cielo". Ma io sì, dopo quella volta che mi hanno fatto la cacca sulla guancia. Quindi, per ora, necessito di maschera da saldatore. Poi, magari, ricambio idea.

lucicosmo ha detto...

Anch'io, un tempo, cacata fui sulla cucuzza. Ma i capelli mi protessero.