lunedì 12 marzo 2007

Roman nights

Fenomenologia di una notte romana in un jazz club zona stazione Termini.
Fuori un becchino-buttafuori dall'aria sospettosa.
Dentro colore fluo cangiante e signorina che seleziona chi entra e chi no.
Noi veramente ci siamo anche prenotate via Internet e io, nello specifico, mi sono fatta almeno 1 km di via Giolitti a piedi.
5 euro e scendiamo nel sottosuolo attraverso due piani di scalone a chiocciola mezzo trasparente (da vertigine). E' il prezzo da pagare per accedere nell'oltremondanità.

Subito a destra una porta: "Punto di calma per invalidi". Sento che l'area potrebbe ospitarmi molto presto e, in qualche modo, mi sento confortata.
Il locale doveva essere un'antica tavernona romana, con mattoncini rossi e arcate che oggi ritmano le isole di socializzazione per gruppi di amici i quali, si vede lontano un miglio, non hanno niente da raccontarsi ma si sono diligentemente prenotati divanetti, sedie e tavolini. Molti di loro trascorrono il tempo lanciando attorno occhiate fameliche e (nel caso delle donne) mettendo in bella mostra i propri décolleté.

Ordino un succo di banana senza ghiaccio. Il disagio è subito profondo. Tiro in ballo il dolore alla sciatica (vero) e sparisco ad ascoltare il complesso jazz che 'anima' la notte. Il jazz ti deve piacere, altrimenti hai l'impressione che si divertano solo quelli che lo fanno. Ed è una sensazione assai escludente, alla quale cerchi di ovviare facendo un po' ballonzolare la testa a ritmo.


Ma il meglio deve ancora venire, nella persona dell'amico della mia amica: volto mortuario con stile, perfettamente in linea con l'ambiente circostante. Tutto rimanda agli inferi: la pesantezza degli scranni dove ci si siede, l'atmosfera notturna, la luce, e, in modo mirabile, la toilette, protetta da una porta-lapide di metallo pesante quanto una pietra tombale. 

Superata la mezzanotte, si aprono le danze. All'insegna del vintage, in linea con il deadly style underground che è la cifra stilistica del luogo. Il dj spara a raffica sequenze di brani storici degli anni Sessanta, e si infoia particolarmente con 'Vorrei la pelle nera!', che i miei mi mettevano sul giradischi quando avevo 6 anni. Fa impressione sentirla adesso nel sottosuolo, urlata dagli amici che hanno abbandonato i divanetti e si son gettati in pista. Sono altrettanto imbarazzata a muovermi a ritmo dell'immortale Battisti, che andrebbe riservato solo ad intimi incontri schitarranti. Ma tant'è. Arriva pure la vocina di Rita Pavone e la partita di pallone, il Ge-ghe-gè e Caterina Caselli, che già all'epoca aveva capito tutto. 

All'1.30 abbandoniamo la sala. Fuori gente che aspetta. Sempre meglio prenotarsi in tempo. Il divertimento è vita.

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