lunedì 2 giugno 2008

Fieri di essere italiani

La tv inquadra un lenzuolo con la scritta: "Fieri di essere italiani".
La giornalista commenta: "Guardate che bello striscione!".
Veramente a me quello striscione ne ricorda uno esattamente identico inquadrato al Circo massimo in occasione della vittoria ai mondiali del 2006. Possibile che ci si senta fieri di essere italiani solo quando di mezzo ci sono palloni e parate militari? Vado a vedere di persona: vivere a Roma e guardare la festa della Repubblica alla televisione mi sembra un controsenso, soprattutto in questo momento.

Piove, governo ladro. No, oggi magari uno questa battuta se la può risparmiare anche se verrebbe piuttosto spontanea. Meglio un gioco di parole più innocuo: t'amo, pio piove. Il concetto è quello: piove, seppure non in modo fastidioso. E' una pioggerella primaverile con aria fresca. "A che bell'aria frescaaa-c'addore 'e malvarosaaaa". Quando arrivo tra la folla nella zona del Colosseo sento molte parlate napoletaniche. Una delle regioni più dimenticate dallo Stato affolla oggi il luogo dove si celebra la nascita della Repubblica.
Ieri la via dei Fori imperiali sembrava in realtà pronta per celebrare la festa dell'Impero: tribune, sedie d'oro e di porpora e dietro, a fare capolino, le statue romane degli imperatori. E già te lo immagini il ministro La Russa o lo stesso Silvio IV inquadrati a destra e a sinistra di Augusto, uno sguardo al Colosseo e uno al balcone da cui si affacciava Mussolini in piazza Venezia.

Ma in mezzo alla gente tutto sembra molto diverso e, come al solito, più quotidiano e domestico. Intanto perché nella zona dei vip non si arriva all'ora in cui arrivo io dopo aver preso un autobus con una corsa molto più deviata di quanto pensassi. Dentro siamo quasi tutti stranieri, e mi viene spontaneo usare la prima persona plurale: siamo, perché in questo momento non mi sento 'fiera di essere italiana' ma semmai di stare in una città che per me è sempre stata Roma città aperta, come oggi si affretta a ricordare il Pd sui manifesti appesi in giro ('Roma è città aperta'). E questa Roma città aperta ha accolto me come il coinquilino di Reggio Calabria, e la coinquilina francese uscente, e gli ex coinquilini umbro-toscani, e il milanese, e il sardo, e la bergamasca e la maghrebina, per citare solo le persone che ho visto entrare ed uscire dalla casa in cui vivo.

Un tricolore immenso è stato srotolato su un lato del Colosseo. Passano i Vigili del fuoco e son applausi e canti con voci maschie da osteria numero uno. Per un attimo la testa fa un confronto turbante: le immense parate militari dei regimi totalitari del secolo scorso, quel bisogno di mostrare forza e potenza attraverso chi difende la nazione in vario modo e a vario titolo. Ma via, noi qui attorno siamo diversi. Noi assiepati tra ombrelli colorati sulla via che sta sopra alla fermata della metro Colosseo. Siamo multietnici e multilinguistici noi. "Vigìli-del-fuoco", sillaba con accento sulla seconda 'i' di vigili un papà e marito. La moglie spiega "Means firemen". La bambina sbadiglia e fa il gesto di chi vorrebbe andare a dormire. Un signore conosce a mente la canzone che stanno cantando i vigili, di cui io invece non riesco a cogliere se non l'eco così evocativo di altri canti guerreschi.

Eppure c'è qualcosa di bello in questo confondersi tra la gente comune. Insieme agli italiani fieri e agli stranieri che vendono ombrelli col sorriso ci si incunea nelle stradine a ridosso di via Cavour, bloccate da poliziotti e carabinieri. Intercetto anche il meraviglioso 'principe iraniano', lo studente dai capelli nero-corvini che seguiva il corso serale dove insegnavo l'anno scorso. Il principe che sosteneva con forza il ritorno alla monarchia e l'impossibilità di ottenere una reale democrazia, cammina oggi anche lui tra gli italiani fieri, ma mantiene quella splendida aria distratta e distinta che lo rendeva uno dei migliori allievi della classe. Un signore venuto da Modena si arrabbia perché gli bloccano tutte le strade mentre lui è venuto oggi apposta per partecipare alla festa. Ma sta per arrivare il momento delle Frecce tricolori, meglio fare dietro-front e tornare in zona Colosseo.

Giusto in tempo per vedere il cielo attraversato da un boato e dai colori della nostra bandiera. E mentre parlo con la signora che viene ogni anno, suo padre ha fatto la Prima guerra mondiale, mi commuovo, esattamente come mio nonno ogni volta che vedeva le Frecce tricolori. Mi sento profondamente scema per questa commozione tricolore ma dentro ho un miscuglio di sentimenti inespressi: il mio Paese così alla deriva, le nostre vite così precarie, i meriti regolarmente misconosciuti, il futuro indeclinabile, il cielo grigio su...ma piove piove sul nostro amoooooooooor!

4 commenti:

Locomotiva1 ha detto...

Mi piace, questo racconto in diretta...

si, la parata è abbastanza una cosa ridicola, se la si guarda razionalmente: sarebbe come vedere la regina Maria Antonietta che passa seguita dai damerini di corte sulle scarpe col tacco.

Ma, emotivamente, funziona.

Non distante da casa mia, dietro la montagna, c'è un paesino minuscolo, piantato in una valletta laterale: Bannio Anzino.
Saranno cinquanta case, abitanti credo un centinaio o giù di lì.

Però, nell'800 un Re sabaudo formò qui una "compagnia di truppe" di riserva. Che venen presto sciolta e dimenticata dal regio Esercito.
La storia è rimasta in paese, però: e questi, la prima domenica d'agosto, cavano dall'armadio le divise (rifatte), i fucili di legno, recuperano un cavallo per l'ufficiale e fanno "la rivista".
Cioè radunano la compagnia, marciano avanti e indietro dalla chiesa alla piazza (son due passi), l'ufficiale a cavallo urla ordini di rito,e pii tutti a deporre una corona al monumentino dei caduti.
Una fiera di paese. Ma quello è uno dei pochi paesi nella valle ancora popolato ed unito: stanno un anno intero a confabulare per cosa fare l'anno dopo. Entrare "nella compagnia" è difficile, è un onore.
Negli altri paeselli della loro e della mia valle, si litiga su tutto.

Quindi, boh, se serve la banda che suona, le camionette con la bandiera e le mimetiche per sentirsi un po' tutti assieme, che male fa?
Se funziona...

Dichtung ha detto...

Ci deve essere stata una ferita culturale profonda negli ultimi anni se anche persone molto aperte come te si soffermano sulla capacità di Roma di accogliere, oltre a molti stranieri, anche italiani di altri regioni. L'accoglienza degli altri dovrebbe essere la normalità per qualsiasi città, tanto più per Roma, e in effetti, nei fatti, più o meno forse lo è ancora nonostante tutto, ma hai comunque ritenuto di doverlo rimarcare, persino per gli italiani (il che mi ha stupito), come se anche questi (e tra questi tu stessa) si sentissero, almeno all'inizio, un corpo estraneo.
Il mio ovviamente non vuole essere affatto un giudizio, è solo una sensazione che ho provato leggendoti e che mi riesce difficile spiegarti appieno in due righe.

utente anonimo ha detto...

Io sono di Trieste, i miei sono della zona. Devo dire che, nel novembre del 1918, quando sono sbarcati i bersaglieri, molti dei miei antenati erano chiusi a casa, piangenti.
Altro che fieri di essere italiani.

lucicosmo ha detto...

Dopo aver visto 'Il divo' mi sento davvero fiera di essere italiana. Non perdetevelo!