mercoledì 11 febbraio 2009

Il dovere dello sdegno

Credo che in questo momento abbiamo il dovere di essere sdegnati, di sentire almeno un po' di vergogna per il degrado morale che si sta consumando nelle istituzioni del nostro Paese e purtroppo anche in molti degli ambienti che frequentiamo ogni giorno, dall'autobus all'ufficio. Se così non fosse, consiglio vivamente una lettura che ho quasi divorato questo pomeriggio: L'Italia dei doveri, di Maurizio Viroli, ed. Rizzoli. E' un breve saggio dedicato ad una parola (dovere) quasi del tutto oscurata dall'altra (diritto), assieme alla quale in realtà dovrebbe procedere sempre per evitare deliri di onnipotenza che in questo momento sono sotto gli occhi di tutti: "Ho il diritto di..." (segue lunghissima lista, da compilare a piacere con i più svariati soggetti).
Se non recuperiamo questo senso del dovere - sostiene Viroli, che ha lavorato con Norberto Bobbio al Dialogo intorno alla Repubblica - sarà molto difficile diventare cittadini veramente liberi di scegliere e di dirigere la nostra vita in modo autonomo. In sostanza, senza un forte senso del dovere che obbedisce ad una coscienza interiore e non ad una legge esterna, sarà molto più facile precipitare in forme di dittatura e sudditanza purtroppo già sperimentate dal nostro Paese. Mazzini (citato da Viroli) scriveva nell'Ottocento che, senza persone prive della conoscenza dei propri doveri, l'Italia cadrà "sotto il giogo del primo padrone straniero e domestico, che vorrà inforcarla di tirannide, una Italia fiacca, irresoluta, sfiduciata di se stessa e d'altrui, senza stimolo di onore e di gloria, senza religione di verità e senza coraggio per tradurla in opera". Sessant'anni dopo queste parole, voilà Mussolini. Oggi, voilà un intero Governo.

2 commenti:

utente anonimo ha detto...

Mi perdonerai, spero, se ricordo un pensiero di Chiaromonte, anche se concepito in un contesto diverso:

Il rimedio, in verità, se c'è è altrove, e a molto lunga scadenza. Consiste nella secessione risoluta da una società (o meglio: da uno stato di cose, giacché "società" implica comunanza e ragione, che sono precisamente quello che manca, oggi, nella vita collettiva) la quale non è neppure cattiva per natura, anzi suscettibile di vari miglioramenti. Non è cattiva e non è buona: è indifferente, che è la peggior cosa di tutte, la più mortifera. Da questa società - da questo stato di cose - bisogna separarsi, compiere atto pieno di "eresia". E separarsi tranquillamente, senza urla né tumulti, anzi in silenzio e in segreto: non da soli, ma in gruppi, in "società" autentiche le quali si creino una vita il più possibile indipendente e sensata, senza alcuna idea di falansterio o di colonia utopistica, nella quale ognuno apprenda anzitutto a governare se stesso e a condursi giustamente verso gli altri, e ognuno eserciti il proprio mestiere secondo le norme del mestiere stesso, le quali costituiscono di per sé il più semplice e rigoroso dei principi morali, e sempre per natura escludono la frode, la prevaricazione, la ciarlataneria e la fame di dominio e di possesso. Ciò non significherebbe assentarsi né della vita dei propri simili, né dalla politica in senso serio. Sarebbe, comunque, una forma non retorica di "contestazione globale".

da Il tarlo della coscienza, "La rivolta degli studenti", pubblicato per la prima volta in Tempo presente, marzo-aprile 1968, di Nicola Chiaromonte

Dichtung

Diemmezeta ha detto...

Mazzini, Partito d’Azione … Il pensiero corre inevitabilmente a mio padre, mazziniano, dissidente di Salò e dunque reduce da una dolorosa prigionia tedesca; a lui e al suo manipolo di amici e al loro perenne, ostinato, inascoltato, addirittura schernito, essere contro i prodromi delle derive opportunistiche e piccine che già serpeggiavano nella “ricostruzione” degli anni sessanta. Oggi, come allora, è destinato allo scherno qualsiasi discorso sulla sobrietà o se permettete “austerity”, termine che, invece, comprende e ricapitola la vera essenza della vita sociale e privata. Qualcuno scherzando mi ammonisce:”Danie’ vedi che il ’68 è finito da un pezzo..”. Boh! Sarà: io penso, mi vesto, mi muovo, giro in vespa come allora… però col casco.