mercoledì 18 febbraio 2009

Sanremisti?

Ebbene sì, lo ammetto, sono una feticista del Festival della Canzone italiana. E' uno di quei pochi casi in cui non riesco ad essere sensibile a nessun tipo di polemica a latere, in genere concentrata sullo spreco economico della kermesse. Ordunque ieri sera mi sono piazzata davanti al televisore all'incirca fino all'una e trenta, ed ho seguito quasi tutto: big, giovani,  Roberto Benigni (meraviglia) e Katy Perry. Ho seguito la musica, del resto non mi importa granché anche se va detto che rispetto alle ultime edizioni baudiane (lente, noiose, cariche di spot e di ospiti) quella di ieri sera è stata una serata autenticamente divertente grazie all'estro e alla disinvoltura di Bonolis.

Ma mi pare riduttivo parlare di Sanremo come "Il Festival di Baudo" o "Il Festival di Bonolis". In questo caso semmai è il Festival dei gay, o di Povia e dei gay, il che mi pare possa offrire a tutti noi spunti di riflessione se ancora in questo Paese è possibile riflettere senza scatenare inutili polemiche. Dal Parlamento ai luoghi della nostra quotidiana socialità sembra infatti di assistere ad una incapacità di avviare un dialogo che sia tale, un dibattito fatto di esposizione delle proprie posizioni, nel reciproco ascolto e rispetto. Orbene se già mi sembra lunare che una canzone abbia potuto creare un 'caso' prima di averla sentita, ieri sera mi è sembrata dispiegarsi sotto i nostri occhi un'altra situazione altrettanto lunare. Chi l'ha visto non occorre che legga il riassunto, ma per chi non avesse avuto quest'opportunità e fosse interessato all'argomento, riporto l'accaduto.

Povia canta il suo pezzo, che a me è sembrato uno dei più belli, con vaghe reminiscenze musicali di "Ti regalerò una rosa" di Simone Cristicchi e "Pensa" di Fabrizio Moro, entrambi Sanremi di 2 anni fa. Il pezzo è cantato bene, con padronanza della linea melodica, Povia è dentro quello che dice, non 'cantantizza' né si atteggia, racconta una storia musicata che - mal gliene incolga! - parla di un ragazzo con mamma ossessiva e padre assente, che in un primo tempo ha una relazione omosessuale e poi scopre di amare una donna come mai nella sua vita. Fine della storia. Ora in quale Sanremo è mai successo che dopo una canzone venga lasciato il microfono ad una persona del pubblico (nello specifico Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay), che prima viene inquadrato mentre scuote la testa e poi, microfono in mano gentilmente offerto da Bonolis, chiosa il pezzo citando un sms che gli è stato inviato poco prima da un amico omosessuale commosso per la performance di Benigni? E' come se al termine di ogni pezzo che tira in ballo una particolare categoria di persone (genitori, figli, amanti, politici ecc.) ci fosse un rappresentante della suddetta categoria, pronto ad esprimere un parere sul valore della canzone. La domanda sorge spontanea: perché oggi in questo Paese siamo così suscettibili su storie che riguardano l'identità sessuale? E poi, seconda domanda: perché l'anno scorso nessuno insorse sulla canzone di Anna Tatangelo, che pure parlava di un amico gay con toni infantilmente patetici?

Chissà, hai visto mai che non sia stato creato un precedente ad hoc, utile come idea per le prossime edizioni sanremesi? Politici ed opinionisti in platea a commentare le canzoni di dissenso sociale, sposi e fidanzati a magnificare le canzoni d'amore facendo però presenti le difficoltà della vita matrimoniale, preti per censurare all'occasione le eventuali illiceità erotiche dei testi come quello della Zanicchi (ma ti pare che una florida signora emiliana di una certa età doveva simboleggiare la trasgressione sul palco dell'Ariston?). A questo punto il Festival non durerà più una settimana ma un mese e diventerà il nuovo grande talk show italico officiato ogni sera da Bruno Vespa. 
Aiuto, devo guardare meno televisione, ecco cosa produce Sanremo. Ed era solo la prima serata.

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