venerdì 25 maggio 2012

I sogni son desideri (che a volte si realizzano)

L'ho sempre sognato: salire su un autobus e iniziare a parlare con i passeggeri per farli ridere o tirarli su di morale. E farlo senza avere nessun camice bianco addosso, senza nessuna etichetta di 'matto'. Lunedì scorso questo sogno si è realizzato, a dimostrazione del fatto che certi sogni son davvero desideri. Che possono, quando meno te lo aspetti, realizzarsi. Magari proprio a Trieste, chi l'avrebbe mai detto?

Magari bisogna prima mettersi una maschera. Far finta di essere capre, per esempio: capre che saltellano e hanno anche qualche traccia di corna in testa. "Signorina, queste corna non gliele ho messe io", si premura di dirmi un signore guardando il ramo che mi spunta dalla chioma. Me l'ha donato l'organizzatrice di questa bizzarra manifestazione che ha subito suscitato un grande entusiasmo cosmeticomico: 'Sopra l'autobus la capra recita', versione locale del festival internazionale di poesia 'Parola nel mondo'-'Palabra en el mundo'.

La capra di Aldovrandi, simbolo di 'Sopra l'autobus la capra recita'.
"La poesia mi fa tanta tristezza", dice un'altra signora quando sente che stiamo saltellando sugli autobus proprio per recitar poesie scritte da poeti viventi. Come la capisco, cara signora. Anche a me, a volte, la poesia fa tristezza. Non a tutti, d'altronde, piace la poesia, come scriveva la cara Wislawa Szymborska. Ma se la poesia si stacca dalla carta e dalle paturnie dei poeti, e vuole invadere le strade, può essere che succeda qualcosa di inaspettato. 

Succede per esempio che 5 lettori-poeti-cantori si mettono a recitar versi da un copione sull'autobus n.17, 10, 5 e 19. E si divertono. E con loro si divertono anche i passeggeri che tutto pensavano quel giorno, fuorché incontrare distributori vocali gratuiti di versi sul bus. E le reazioni son le più diverse. Chi ride, chi tende l'orecchio, chi applaude alla fine. Qualcuno ringrazia facendo un inchino, una signora si spinge più in là: "Se non c'eravate, bisognava inventarvi". "Vi amo", sussurra un'altra entusiasta.

Questa per me è vera mediazione culturale, anzi umana su mezzo pubblico. Mezzo pubblico,/io t'adoro./ E vorrei cingerti/d'alloro. Così iniziava la mia poesia ludica che ho capriolato sull'autobus, come direbbe Marìa Sanchez Puyade, la giovane artista argentina che si è inventata questa formula di poesia viaggiante. 

Naturalmente in un lunedì di pioggia battente ci sono anche i musi lunghi. I musi duri. Gli imbronciati che non li disbronci neanche con una sbronza. Ci sono anche i ragazzi che fanno l'eco di sghignazzo da lontano, epperò poi se ti avvicini, alla fine te la leggono anche loro, una poesia. E ci sono i kosovari che non capiscono e ti guardano. E la signora che si mette a cantare, e il ragazzo che fa finta di niente ma con l'occhio di traverso ti guarda e accetta il dono di una poesia strappata dal copione dei poeti viventi. 'The Dead Poets Society', era il titolo inglese di un film che abbiamo tanto amato alla fine degli anni Ottanta ('L'attimo fuggente'). La società dei poeti vivi: sarebbe bello che diventasse sempre più così anche la nostra. 

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