giovedì 15 novembre 2012

Scuole di pensiero

Di quale scuola stiamo parlando? Quale scuola abbiamo in mente quando parliamo di scuola o scendiamo in piazza per difenderne i diritti? Perché ogni manifestazione di giovani o studenti in questi ultimi anni deve finire sempre in guerriglia urbana, specie nella capitale? 
Non bastano le guerre che si combattono quotidianamente in alcune scuole? "Sono diventati più cattivi", raccontava l'altro giorno una prof appena andata in pensione dopo anni di onorata docenza in una scuola 'borderline' del centro di Roma, e non stento ad immaginarlo. Dove gli argini non tengono più (Tevere docet), il fiume esonda.

La violenza non ha mai ragioni giustificabili. Né dall'una né dall'altra parte. Ieri sera al TG ho sentito dire che "la violenza era stata organizzata". Può essere, e sarebbe bello che in futuro si potesse prevenire l'organizzazione della violenza. Non tanto aumentando le "forze di sicurezza", come previsto dalla neo-approvata legge di stabilità, ma facendo appello alla responsabilità e alla coscienza di ciascuno. Ciascuno in cuor suo, studente, insegnante o 'forza dell'ordine', si chieda: io come sto contribuendo a rendere questo mondo più umano, abitabile, civile, solidale, pacifico, giusto? 

Proprio ieri, per esempio, mentre mezza città era in tilt tra Tevere e manifestazioni, una trentina di ragazzi stranieri recitava l'inizio del monologo dell'Amleto in una scuola che è scuola e casa al tempo stesso. Come suona "Essere o non essere" in un italiano pronunciato da un bengalese? E da un cinese? E da un egiziano o pakistano? E' il miracolo dell'arte e della letteratura che sa parlare al cuore di ogni uomo e donna che abbia ancora dentro un'anima e non pietre.

"Essere o non essere, questo è il problema. Se sia più nobile sopportare le pietre di una strana fortuna, o prendere le armi contro un mare di guai e, combattendo, disperderle." Versione semplificata dell'inizio del monologo forse più famoso della storia del teatro occidentale. E' più facile sopportare o ribellarsi, anche con la violenza? E' più nobile reagire accecati dall'odio o sperare in un tempo migliore e impegnarsi ogni giorno a costruirlo?

Shakespeare da una parte, la guerriglia urbana dall'altra. Per quale scuola si protesta? Quale scuola sogniamo? Qualcuno sogna ancora o desidera soltanto sfogare gli istinti più brutali? 
Il sogno dell'insegnante-scrittore Eraldo Affinati, sognato assieme a sua moglie Anna Luce Lenzi, è diventato realtà nella 'Scuola Penny Wirton'. Una scuola che non sa di scuola ma insegna tanto. Sia agli insegnanti, tutti volontari, che agli studenti, tutti rigorosamente stranieri. Una bella Italia che si ritrova per due pomeriggi alla settimana ad imparare ed insegnare in uno scambio continuo di lingue e patrimoni culturali.

Ai due giovani bengalesi di 16 e 17 anni, per esempio, non saprei come spiegarle le violenze di ieri. Studiano il verbo avere, ripassano il verbo essere, completano esercizi per capire la differenza tra un parola come 'anno' e il verbo avere alla terza persona plurale 'hanno'. Hanno ragione i ragazzi scesi in piazza? Hanno mai gustato cosa voglia dire imparare? Cosa voglia dire avere fame di imparare? 

Certo, è vero. Alla scuola 'Penny Wirton' non ci son voti né giudizi. E gli insegnanti sono quasi personalizzati: uno per ogni straniero, massimo due o tre. Ci si siede vicini, ci si guarda negli occhi, non c'è bisogno di gridare, non c'è una giungla da domare. 

Ecco la soluzione. Possibile che nessuno ci abbia mai pensato? Nemmeno un sindacato? Nemmeno un preside coraggioso? Nemmeno un ministro originale? Spezzare le classi in gruppi da massimo 10 ragazzi e renderle micro-comunità dove l'adulto insegnante non sia costretto solo a far rispettare regole e discipline, ma riesca ad appassionare e ad appassionarsi. Più lavoro per insegnanti a spasso, più soddisfazione e partecipazione per gli studenti. 

"La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sè. (....) Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso - se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato il qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo." (dal 'Diario' di Etty Hillesum, 1942)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Chi pensa è immortale, chi non pensa muore. Averroè