venerdì 31 maggio 2013

Nel nome del pane

Nel nome del pane, 
dei figli,
e di tutti quegli spiriti buoni
che hanno a cuore le sorti del mondo.
E il mondo, per una sera, passa da Aviano: 
pedemontana friulana che, già a nominarla,
fa scendere un po' di nebbia e di grigio. 
Ma va là! 
Quale nebbia?
Quale grigio?
Non ti farai mica influenzare dalla pioggia e da quella lunga nube bianca
che copre mezza montagna come fosse il ripieno di mozzarella di un 
sandwich?
Coraggio, percorri ancora qualche metro, qualche curva, prudente mi raccomando
che sennò ti viene da vomitare e via, fermati lì davanti.
Cos'è? Un hotel senza insegne? 
Un segno di speranza nella via di Montecavallo
che a caval-donato non guarda in bocca?
Molto di più, mon chef, molto di più.
Sei davanti alla Scuola alberghiera di Aviano, che ha sfornato
chef in tutto il mondo, e oggi tutto il mondo si dà appuntamento qui.

Guardali, i giovani cuochi vestiti di bianco candido,
paggi in livrea nelle cucine da grand'hotel.
In tre anni imparano a cucinare, fare i maestri di sala, i pasticcini
e la pasta alla carbonara,
ma soprattutto imparano a servire. Non servirsi degli altri,
ma servirsi gli uni gli altri in una scuola di vita.
Potrebbero parlare indiano, albanese, peruviano,
o una delle tante lingue africane. Però anche friulano,
italiano, inglese, francese. 
"Nel nome del pane è un'esercitazione sul tema del pane",
spiega l'insegnante di italiano della Scuola, che è anche filosofo e pure musicista
e quindi del mondo ha una visione aperta. Uno che ti chiedi come sia stato
selezionato per arrivare lì: se tramite concorso con griglie di valutazione
o per personale autovalutazione dei propri talenti e desideri.
Fossero tutte così le esercitazioni, molti ci metterebbero la firma.
E d'altra parte mica si può andare avanti in eterno con le scuole e 
le accademie che fanno solo la teoria, e poi la televisione che fa la pratica
inquadrando con telecamere ingorde piatti e cucine e facce di conduttori
che con grande evidenza non fanno la fame. 

"Se il pane non va da chi ha fame, chi ha fame va da chi ha il pane",
dice sempre il prof filosofo e musicista (clavicembalista e percussionista,
per la precisione). Il pane simbolo religioso nel senso più alto 
del termine: la religione che unisce e non divide, che spezza assieme
e non tiene tutto per sè. La religione che si apre allo sguardo dell'altro:
al chapati, il pane-pita indiano fatto di farina, acqua e sale. Al pane-pizza
di tradizione partenopea. Al pane al pane, vino al vino, servito con garbo
e gentilezza dai camerieri di sala, nero-vestiti e sorridenti come si deve
imparare ad essere nella vita per evitare di diventare in breve tempo
vecchi cinici e brontoloni.
Il pane del 'daily bread', il 'pane quotidiano' degli inglesi

che non compare solo nella preghiera cristiana più conosciuta del mondo
(give us today our daily bread), ma anche nel linguaggio delle piccole
economie quotidiane e del rapporto padri-figli perché 'daily bread'
indica anche la paghetta quotidiana.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano che riesca a farci vivere
uniti e non nemici. Che riesca a farci pagare le bollette senza
privarci dell'impagabile ricchezza di un sorriso.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano da intingere in una 

saporitissima vellutata di asparagi e ortiche,
che lasci spazio poi ad una vera
"insalata etnica" di pollo al curry, salsa greca tzatziki,
pasticcio con pane carasau, pitina friulana (una specie di salame
fatto anche con il vino rosso), lenticchie, ceci, polpette, a comporre
un piatto multicolore e multigusto come è spesso la 
nostra vita.
E chi la vuol uniformare, questa vita, che sappia solo di lenticchie

o di pollo, è uno che della vita continua a perdersi qualcosa.

"Il cibo è qualcosa di cui avere cura", ha scritto nel 'Pane di ieri'
il monaco Enzo Bianchi, 
priore della comunità di Bose in Piemonte,
lui che deve averli visti 
tempi più duri di questi. 
"Tutti i cibi sono carichi di debiti con l'esterno":
riconoscerlo potrebbe essere un bel modo per sentirsi meno tronfi
e sicuri ed egocentrici. Anche della nostra 'crisi', di cui forse
riusciamo a parlare tanto perché abbiamo sempre la pancia piena.

2 commenti:

Anonimo ha detto...




Quanto è buono l'odore del pane appena sfornato.

Salvatore


Anonimo ha detto...

un bellissimo post per chi ha "fame"!
grazie Lucia
Z