domenica 1 settembre 2013

L'arte (distrutta) a Venezia


"Una schizofrenia", commenta la signora di 73 anni appena compiuti. "Una fantasmagorìa", le fa eco un'altra signora, o meglio sarebbe dire signorina, di 30 anni più giovane. Mamma e figlia alla Biennale d'Arte di Venezia si confrontano su due modi di vedere il mondo. Due modi di lasciarsi interrogare dall'arte e dalle angosce del mondo contemporaneo. A partire dalla tazza di un cesso. Dopo due ore di treno regionale e l'approdo nella Stazione di Venezia S.Lucia, si scopre che il bagno pubblico costa 2 euro. Due euro per fare la pipì? E c'è pure la fila? Via verso il vaporetto, fila d'ordinanza, un'ora sul Canal Grande a godersi la bellezza di questa città miracolosa sospesa sull'acqua, tra gondole, motoscafi, ambulanze, altri vaporetti che si incrociano e...attento! Vogliamo mica replicare l'incidente della settimana scorsa? 

Approdo all'Arsenale che evoca battaglie, navi, antiche glorie. E si parte. Da dove? Prima dell'ingresso ufficiale spunta un 'evento collaterale'. Si intravede un ombrellone colorato, alcune stanze disadorne di uno squallore disumano, come direbbe la coinquilina yogista, ed infine un piccolo bagno con tazza aperta. L'artista viene da Hong Kong. "Scusi, è possibile usare la toilette?". La signorina che deve star lì a far la guardia all'opera sorride: "Molti ce lo chiedono, certo, la usi pure." Vedi l'arte che ti soccorre nel momento del bisogno?

Ed ora si entra davvero. Un enorme mostro fossile, la Torre di Babele di Marino Auriti che sognava di racchiudere in un palazzo tutta la conoscenza umana, il racconto della Genesi a fumetti, fotografie di uccelli, ornitologie d'altro genere, un divano che germina un vaso, una folla spettrale di anime grigie con gli occhi chiusi e il resto del corpo composto da legamenti e muscoli visibili, come le immagini di un libro di anatomia; ancora fotografie ma luminose, una vicino all'altra, che cambiano di continuo e non riesci a vederne bene nemmeno una, arazzi senegalesi, la collezione strampalata di oggetti di un internato in manicomio che aveva visto Dio, statue di umani più umani di quelli veri, e poi lo scheletro di un tempio lontano, vietnamita ma cristiano, di legno come le travi a vista che si vedono in alto, nelle enormi sale dove si sudava e si piantavano chiodi per le grandi imprese marinare della Serenissima. Stop. Giunge un certo languorino. Pranzo d'artista con porzioni d'artista microscopiche in enormi piatti che sembrano piatti d'orchestra. E' arte, tutto è arte. Anche l'arte culinaria. 

Si riprende con i padiglioni. La Santa Sede espone per la prima volta. In principio: creazione, ri-creazione, de-creazione. La creazione ha qualcosa di commovente. Figure ad altezza umana su parete: mettici la mano sopra, ed hai un po' di pudore a farlo perché noi non metteremmo mai la mano sopra un nostro simile così, mentre lì questi umani premuti dalla nostra mano si animano, producono suoni. Ritornare al tatto come strumento di conoscenza? La signora custode dell'opera spiega che son sordomuti e rispondono come possono. Si riflette sul tema della parola, perché in principio era il Verbo. Era la Parola. Ma quale parola? Chi non può parlare né sentire? Su un'altra parete si possono toccare i carcerati: anche loro con la nostra mano premuta parlano, raccontano di sè, mentre al centro è una girandola di immagini dove ciascuno può anche proiettare la sua mano. In principio è stato forse anche uno scambio di mani. Di dita, come si vede nella Creazione di Michelangelo evocata prima di entrare. 

Gli Emirati Arabi, invece, evocano una grande paura. La paura di cadere in mare ed essere dispersi tra le onde, nel buio della notte. Se è rimasto qualche barlume di mal di mare da vaporetto, meglio evitare. Poi c'è il Sudafrica dei volti neri fotografati, e delle sculture di libri tagliati e intagliati. L'America Latina è la più gioiosa: una spianata di spezie odorose e coloratissime, e in fondo una ironica rappresentazione della sicumera degli scienziati che pensano di sapere tutto del dna dell'uomo, solo che qui il dna è il chewing-gum masticato, sputato e appiccicato dappertutto, anche sulle facce di quattro persone che raccontano quanto è bella e indefettibile la scienza. Inquietante la Lettonia: un enorme ramo sospeso, e attorno uomini e donne in tenuta invernale sospesi anche loro, ogni tanto scossi da un fiato di vento.

E infine l'Italia. Anche l'Italia sospesa, o meglio con un grosso masso sul quale stanno quattro ragazzi ai quali è affidata una performance con teli da mare. Più in là una grande lastra obliqua colpita da una goccia che la sta ossidando. Davanti un microfono (sospeso) dove dovrebbe fare vocalizzi una cantante che quel giorno non c'è. La sua voce ha effetti speciali sulla goccia, spiega la ragazza custode dell'arte. Diecimila mattoncini con i codici di altrettanti detriti spaziali compongono un pavimento sconnesso. Due persone fanno la fila per entrare a vedere "l'arte distrutta". Si cammina su detriti di piombo fuso pensando agli ostacoli e alle punte aguzze della vita. L'arte distrutta. E noi?

"Alla fine il messaggio che colgo - dice la signora di 73 anni - è che viviamo in un mondo che fa schifo (espressione originale un po' più colorita, ndr), ormai agli sgoccioli". Sintesi perfetta. L'età porta consiglio.

Nessun commento: