Nel bel mezzo di una torrida estate, tra venti di guerra e aria mossa soltanto dai ventilatori, accadeva un miracolo in un’aula scolastica. Sei commissari e un presidente ascoltavano assorti un gruppo di studenti all’esame di maturità. Ma qui le parole non bastano. Non dicono davvero, non spiegano, non parlano. Che commissari? Che presidente? Che ragazzi? Che maturità? Dovremmo specificare meglio.
Sei commissari diversi ma che
vanno d’accordo e riescono pure a farsi una risata ogni tanto per affrontare
meglio l’afa soffocante ed alleggerire le tensioni. Prima notizia speciale.
Bellissima. Controcorrente. Un presidente pieno di umanità, comprensione,
ironia, empatia, capacità di sintonizzarsi con gli studenti e gli altri
colleghi. E che dire degli studenti? Tutti, dal primo all’ultimo, belli,
maturi, sensibili, teneri e grandi al tempo stesso. Alcuni di loro si emozionano
parlando del loro percorso di alternanza scuola-lavoro a contatto con anziani,
disabili, bambini. Sono diventati, grazie a queste esperienze, davvero dei
capolavori.
Capolavori di vera maturità,
che non è solo sapere qualcosa e saperla presentare in modo efficace. Ma essere
capaci di vivere questa nostra vita non perdendo il lumicino della coscienza
che brilla dentro di noi. Imparando – parole dei ragazzi – “a vedere l’essere
umano prima del ruolo”. Non aver paura di emozionarsi, di piangere con chi è
nel pianto. Di leggere una poesia come “In memoria” di Ungaretti, dedicata
all’amico egiziano Mohammed Sceab “suicida/perché non aveva più/Patria”, e non
riuscire a pronunciarne un verso perché le lacrime prendono il sopravvento. Quale
immensa e stupefacente maturità! Smacco per tutti quelli che si nutrono di sola
ragione e razionalità e mente e rischiano così di diventare teste magari molto
intelligenti ma senz’anima.
Vi siete commossi e ci avete
commosso. E avete riportato al centro dell’attenzione tutti quei temi che oggi
risultano invisibili nella politica nazionale e internazionale, salvo in clima
elettorale o di fronte a qualche emergenza che fa rima con tragedia: il tema
dei migranti (Convenzione di Ginevra, 1951: “nessun rifugiato può essere
respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere
seriamente minacciate”), degli anziani soli, dei ragazzi disabili, della salute
mentale che a volte diventa incapacità di chiedere aiuto.
Voi, con le vostre parole risuonate in un’aula scolastica, ci avete insegnato cosa vuol dire essere cittadini del nostro tempo: “accettare di non essere perfetti”, “vedere attraverso le ferite degli altri anche le mie, e credere nella purezza che c’è ancora nel mondo”; e ancora “se non c’è rispetto non c’è relazione”: rispetto – traccia di uno dei temi proposti – declinato in tutti i modi possibili, da quello nei confronti di noi stessi a quello che dovrebbe regnare nel mondo del lavoro, nel quale molti giovani sperimentano sulla loro pelle forme di caporalato e di sopraffazione.
Genuinità, autenticità,
sensibilità: ecco la maturità che avete dimostrato. Avete ridato dignità a
tutta quella parte di umanità che oggi rischia di essere criminalizzata da
leggi e decreti che mettono al centro una “sicurezza” che rende il nostro mondo
sempre più inospitale e grigio. “Era sempre stato un cittadino ligio alla
legge”, scriveva Hannah Arendt nella Banalità del male riferendosi al
gerarca nazista Adolf Eichmann. Correva l’anno 1961. Nel mondo di Eichmann “il
pentimento è roba da bambini”, così come la pietà. Cosa rischiamo di diventare oggi
in un’epoca di intelligenze artificiali e di ossessione per la sicurezza?
Automi senza cuore? Fogli Excel tecnologicamente perfetti ma disumani e
indifferenti gli uni agli altri? “La civiltà moderna – scriveva il sociologo
Z.Bauman in Modernità e Olocausto – non è la stata la condizione
sufficiente dell’Olocausto, ma ha rappresentato la sua condizione necessaria.
(…) E’ stato il mondo razionale della società moderna a renderlo pensabile. (…)
La stessa idea di soluzione finale era il risultato della cultura burocratica”.
Concediamoci, ora che è estate, un tempo per riflettere. Tempo per ascoltare ed ascoltarci senza la fretta usuale. Era anche il sogno di uno studente all’esame di maturità di quest’anno, in un commento diventato virale sui social: “A 18 anni è l’unica volta che gli adulti mi ascoltano davvero. Voglio essere guardato, non giudicato”.
Speriamo di essere riusciti a
farlo, ragazzi. Ve lo meritate. “Siamo fatti per ammirare, scoprire, curiosare
e imparare cose nuove, non per perderci dietro ai cellulari. Ci sentiamo liberi
ma non lo siamo mai del tutto; forse un giorno riscopriremo l’amore per la
letteratura, la musica e l’arte e quel giorno saremo davvero liberi”. Parole
vostre.
Il pezzo era iniziato al
passato: accadeva un miracolo. E’ vero, credetemi è accaduto, e molti di noi
possono testimoniarlo. Per non dimenticare. Per sapere che c’è speranza.
Tantissima. Ed è affidata a chi sta cercando la sua strada in questo mondo. E
lo renderà di certo più bello.
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