lunedì 3 aprile 2006

2 aprile 2006, un anno dopo

I lumini giallo-rossi-blu-verdi che illuminano piazza S. Pietro di una luce soffusa. E poi, quando tutto è finito, la piazza trasformata in una grande chiesa popolare all’aria aperta, con i lampioni stracarichi di mozziconi di candele, e i piloncini salva-schiena attorno all’obelisco che sembrano maxi-candelabri poveri, e le fontane incoronate di ceri. Questo mi rimane di ieri sera. Dell'aria che ho respirato stando seduta per terra a seguire il rosario per ricordare che un anno fa moriva papa Wojtyla.


Attorno a me, transumanza di fotografi, telecamere, giovani seduti a terra a fumarsi una sigaretta, qualcuno che quasi quasi si metterebbe anche a giocare, tanto per ammazzare il tempo. “Che c’hai le carte?”, chiede una ragazza alla sorella, che tutto sembra aver voglia di fare fuorché dire l’ave e il pater in latino. In latino?, dico inorridita. “Sì, c’è tutto il mondo qui”, risponde la mia vicina. Sarà, fatto sta che i polacchi attorno a me non mi pare abbiano voglia di dirle in latino le preghiere. In piedi, suore super-star (molto gettonate dai fotografi le sorelle della Carità di madre Teresa di Calcutta: il sari bianco-celeste è decisamente fotogenico, e il quadretto con l’aggiunta di suore di altro ordine color bluette è davvero un bel colpo d’occhio, soprattutto nella fase del tramonto serale su S.Pietro), preti-corvi neri con tonache lunghe fino a terra (Legionari di Cristo presumibilmente: parlano spagnolo), single laici vaganti sempre con l’occhio un po’ nervoso, perchè se guardi troppo negli occhi gli altri gruppetti di fedeli già preconfezionati sembra che vuoi chiedere qualcosa a qualcuno, e se non guardi è un peccato (nel senso laico del termine) perché spettacoli del genere vanno guardati.



Meno male che, a forza di guardare, metto a fuoco lei. Lei che è la più bella di tutte. La falce di luna sulla Basilica. Snella, elegante, ecumenica. Mi evoca l’Islam vicino, ma la visione me la tengo per me, perché qua c’è mezzo mondo cattolico radunato e in lontananza si intravede anche la sagomina di Ratzinger affacciato alla finestra. “Sembra un quadro”, dice la vicina. Già, davvero un quadro, con la fissità del quadro, e la totale assenza di emozioni di alcuni quadri. I misteri gloriosi continuano, alla vicina si infiammano due volte le candele con il ‘frangivento’ di carta attorno. Momento di ilarità fantozziana all’italiana. Poi la figurina si mette a parlare: “E’ passato quasi cià un anno ma la sua memoria continua ad essere viva”. Oddìo mi sembra di essere ritornata in un altro tempo, segno, scrivo, perché prima o poi arriverà qualche parola in grado di colpirmi. “La sofferenza è presente nel mondo per spricionare amore”. “Se l’uomo si lascia abbracciare da Cristo, non gli viene a mancare niente.” “L’incontro con Cristo rende la nostra vita più appassionante”. “Stimolati a vivere cercando instancabilmente la verità”.
Arriva la benedizione, applausi, qualche sparuto coro Benedetto-Viva il papa, e la piazza si anima. Perché molti aspettano la fine della cerimonia ufficiale per dare libero sfogo a canti e circoli festanti. Protagonisti assoluti, i neocatecumenali danzanti, mentre le genti dell’Est sono più raccolte ma – nel caso di un gruppo croato proveniente da Pisino, Istria – non meno rumorosi e sorridenti. San Pietro è così: una grande casa comune, dove in effetti ti senti a casa, vicino ad un’umanità varia, multicolore, capace di contemplazione silenziosa come di una caciara da stadio. Alle 22.40 si spengono le luci, lo spettacolo è finito, i camioncini delle pulizie sono già al lavoro in via della Conciliazione, e io che vedo segni dappertutto, leggo: “Ama”-Roma. 

 

2 commenti:

F4Bi4No ha detto...

Ici, che dici? (Un piccolo sondaggio).

lucicosmo ha detto...

Boh.