lunedì 26 ottobre 2009

"Siete i medici dell'Italia"



C'è un gallo che grida libertà, cittadinanza, informazione, legalità, giustizia, solidarietà. Ha chiuso la bocca ieri, con la conclusione degli Stati generali dell'antimafia organizzati a Roma da 'Libera', l'associazione fondata da don Luigi Ciotti nel '95, ma c'è da sperare che continui a cantare a testa alta, come si vede nel logo di questa tre giorni storica e indimenticabile anche per chi vi ha preso parte per poche ore. In un tempo orfano di partecipazione vera e condivisa, che pensa sia sufficiente una connessione virtuale per mettersi in dialogo con il mondo, stare seduti in un auditorium gremito di giovani che applaudono umini e donne onesti, in prima linea nella lotta contro le mafie, è già di per sè un balsamo di cui va conservato il profumo con cura. Perché la quotidianità poi erode, stanca, e alla lunga produce quel clima di rassegnazione passiva nel quale ci troviamo tutti immersi, pericolosa anticamera ad un farsi complici del più subdolo dei regimi. 



E allora rialziamo la testa, come il gallo di Contro-mafie. Alziamola facendoci l'un l'altro coraggio con le parole di chi può ancora scuoterci dal sonno e dal torpore. "Lo spirito è il vento che non lascia dormire la polvere", scriveva un grande profeta contemporaneo, padre David Maria Turoldo. Lo evoca nel suo intervento conclusivo un altro sacerdote profetico quale è don Ciotti, instancabile camminatore dei sentieri della legalità e della giustizia, profondo e ispirato come sa esserlo soltanto chi si sporca le mani in prima persona e non nasconde dal volto la sofferenza che questa azione quotidiana comporta. Da un lato la denuncia: "Ci sono troppi pozzi della politica che sono avvelenati, bisogna cambiare falda", e ancora, a proposito di un video trasmesso alla notte bianca dell'antimafia sui 211 giornalisti uccisi in Russia in questi ultimi anni, "per ogni giornalista che muore, muore la verità". Ma c'è anche la speranza, la voglia di cambiamento, la necessità di lavorare tutti insieme "umilmente", il "ne vale la pena" ripetuto più volte a nome delle tante vittime delle tante mafie che affliggono il nostro Paese e sono forse più vicine a noi di quanto non ci faccia comodo pensare.



Questo Paese o, più coraggiosamente, l'Italia? E' un'altra grande donna, che da sola basterebbe per riequilibrare la bilancia della condizione femminile nazionale, a porre la questione. Sale sul palco Barbara Spinelli, che molti di noi conoscono come editorialista della domenica de 'La Stampa', articoli che da soli valgono l'acquisto del quotidiano nei giorni festivi. Legge un pezzo scritto appositamente per la conclusione di questi Stati generali con voce calma ma al tempo stesso forte e piena di una dignità che sembrava quasi di aver scordato (pezzo pubblicato quasi integralmente oggi dal quotidiano torinese, ndr). "Voi siete i medici dell'Italia", dice a quelli di 'Libera' e a tutti i giornalisti che in questi anni stanno pagando di persona il racconto della verità: i Saviano, i Travaglio e i tanti, anonimi o sconosciuti ai più, che non si piegano di fronte alle minacce del potere.

Tutti noi, ripete la Spinelli all'inizio del suo intervento, sappiamo, eppure l'Italia "si sta sgretolando come un castello che abbiamo accettato di costruire di carta e non di cemento". Così giorno dopo giorno il malato è peggiorato e il male si è esteso mentre "continuamente abbiamo la prova che viviamo all'ombra di un patto tra stato e mafia": un territorio perduto con case che franano, terremoti che uccidono più che in altri luoghi, un "abitare ingrato, brutto, aleatorio". Ma è soltanto "denunciando il male", in un nuovo giuramento di Ippocrate, che "il male viene consosciuto e la guarigione può iniziare". Per farlo è necessario fare appello alla speranza, e stupisce sentire una pensatrice laica come la Spinelli concludere con la lettera di S.Paolo ai Romani: "Se speriamo quello che non vediamo, allora lo attendiamo con perseveranza". 

Contro la tentazione della disperazione, oggi più forte che mai, c'è l'impegno in prima persona di Angelo, che in un presidio di 'Libera' all'Aquila osserva e denuncia le illegalità quotidiane di un luogo devastato dal terremoto ed ora preso d'assalto dalla criminalità organizzata: gabinetti biologici ordinati in sovrannumero per favorire chi li produce, sparizione dei cartelli con le indicazioni delle ditte subappaltatrici, forniture di infissi non soggetti a gare né controlli; e ancora, c'è il lavoro serio di una giovane giornalista casalese che in una terra segnata come quella di Casal di Principe organizza corsi di giornalismo d'inchiesta e segnala come si parli ancora troppo poco dei beni confiscati alla mafia, dai quali tra l'altro provengono i prodotti venduti nelle botteghe della legalità di 'Libera'; e infine ci sono uomini come Gian Carlo Caselli, la cui rettitudine ed onestà professionale è stata premiata da una legge ad personam del governo Berlusconi per impedirne la nomina a procuratore nazionale antimafia, cosicché, pur tenendo viva la speranza, è lecito domandarsi "se questo Stato, società civile compresa, vuole davvero liberarsi di Cosa Nostra" (Giorgio Bongiovanni, introduzione a 'Salvatore Cancemi. Riina mi fece i nomi di...Confessioni di un ex boss della Cupola', Massari editore, 2002).

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