mercoledì 19 maggio 2010

"Il fine ecologico giustifica i mezzi pubblici"

La stazione è anche tua"Il fine ecologico giustifica i mezzi pubblici". Siamo avvertiti prima di prendere la metropolitana. Lo slogan l'hanno pensato assieme Ikea e Atac (Agenzia del Trasporto Autoferrotranviario del Comune di Roma), il che è già un controsenso di per sè visto che chiunque aspiri ad uscire dall'Ikea con qualche brandello di mobile, sa che dovrà usare la macchina non certo il mezzo pubblico. Ma perché fare sempre polemica anche quando non ce n'è bisogno? Perché non accogliere con cuore grato questa citazione machiavellica rivisitata e corretta per propiziare il viaggio? Per una volta diciamo sì ad una trovata pubblicitaria, e ci prepariamo alla traversata Roma-San Cesareo, ridente paesino a poco più di 20 km dalla capitale.

La prima metropolitana fila liscia. La seconda anche, per quanto parzialmente turbata dall'arrivo di un battaglione di studenti vocianti e mediamente maleducati. So'rrregazzini, si dirà, perché preoccuparsi? Io invece mi preoccupo perché sento frasi come "aò, l'altro gggiorno ho aperto un libbbro, ho letto 5 righe e ho detto: nun je la posso fà!". E uno si domanda: provocazione di fronte a un paio di passeggeri immersi nella lettura o cruda realtà? Propendo per la seconda ipotesi avendo fatto un'esperienza diretta di classi di borgata, dove la fuoriuscita da un paragrafo di 7 righe può rappresentare un effettivo problema.
In ogni caso, studenti libro-allergici a parte, più mi guardo attorno e più mi pare che ‘la gente’ - agglomerato informe di cui le statistiche in genere parlano male - legge. O almeno sui mezzi pubblici sono molti quelli che leggono: libri e giornali, sfogliati in autonomia o sbirciati dal vicino. Quindi c'è un altro fine che giustifica i mezzi pubblici: il tempo per leggere. Hai detto niente.

Ci attende ora lo sbarco alla stazione Anagnina, crocevia di stranieri multilingui e pullman eredi di quel vagone di tram blu che riposa immobile nel giardinetto al centro della stazione, complessivamente assai squallida. A me questo vagone sembra la fotocopia del tram de Opcina triestino: un vero e proprio cimelio dei primi decenni del Novecento che nell'estremo Nord-Est funziona ancora come una specie di teleferica dal sapore antico, mentre qui ricorda soltanto un passato che si presume glorioso viste le due bandierine sgualcite che gli penzolano davanti. Ma chi passa da questo luogo di partenze e arrivi continui non ha tempo di stare a contemplare la storia. C'è il presente che incalza. A proposito: il biglietto ce l'hai?

La biglietteria della stazione Anagnina, da cui partono le principali linee che collegano Roma con i paesi dell’hinterland laziale, è un esempio di stile italico purosangue: un ufficio chiuso, l'altro aperto ma in posizione chiaramente difensiva. La vetrata di separazione tra noi e loro (le due bigliettaie all'interno) è una barricata quasi interamente ricoperta da fogli che dicono tutti la stessa cosa: non sono disponibili lì gli orari dei pullman. Andare a vedere direttamente sulle banchine. Mostruosità tipicamente nostrana visto che la biglietteria ufficiale della compagnia che gestisce i pullman di linea (Cotral) dovrebbe fornire anche gli orari dei pullman per i quali vende i biglietti. O no? Le informazioni si potevano chiedere ad un numero verde o cercare prima su Internet, in un formato pdf che confina direttamente con la stele di Rosetta prima della sua decifrazione. E se uno non ha un telefono né Internet e arriva lì all’ultimo secondo dall’Ucraina per raggiungere Olevano romano? Forse un giorno una puntata di ‘Report’ ce lo chiarirà.

Intanto adesso arriva il bello. Allacciare le cinture di sicurezza. Si balla, signori, siamo in pista. Gli autisti dei pullman Roma-San Cesareo devono aver frequentato qualche corso di facilitazione del rigurgito o della digestione interrotta perché guidano come fossero sugli autoscontri: acceleratore premuto, premutissimo, poi frenata brusca, clacson, incidente evitato con camioncino che sta uscendo da stradina, imprecazione sonora e solidarietà del vecchio passeggero seduto davanti. Il signore ha appena finito di decantare le lodi di questi nuovi pullman “che so mejo delle macchine, prima per sterzare ce voleva la gru”, e io dentro sogno sempre più quel tempo e sempre più mi nauseo del mio. Ma deve essere una questione di scuola guida, una questione di colazione ferma nell’esofago, una questione che “qua tutti corono sempre”, dice l’autista a qualcuno che l’ha chiamato al cellulare, e tu pensi diamine, ragazzo, già corri come un pazzo, adesso ti chiamano anche al telefono e tu trovi la concentrazione per seguire la strada, fare le curve e raccontare pure com’è andata la giornata. Ehi, giovane, forse te ne sei scordato: guidi un mezzo pubblico, non la tua auto privata, qualcuno te l’ha mai fatto notare?

Tutti in realtà sembrano tranquilli. I compagni di viaggio sono in gran parte stranieri che hanno l’aria di conoscere bene la situazione. O forse sono semplicemente grati del fatto che almeno il pullman sia arrivato e si sia fermato. Che sia guidato male è un dettaglio che può permettersi di notare solo un’occidentale stressata. Li guardo e li sento miei angeli custodi: è chiaramente straniera la ragazza che mi ha rinfrancato alla fermata su orari e arrivi, è evidentemente straniera l’altra ragazza seduta vicino a me alla quale confesso di aver paura per quella specie di corsa ad ostacoli, ed è più che mai straniera la signora nera nerissima con gli occhi fuori dalle orbite che ad un certo punto si accorge di aver preso l’autobus sbagliato e, dopo un breve lamento sommesso, scende ringraziando pure il conducente.

La signora atterra in the middle of nowhere, nel bel mezzo del nulla. Attorno, una specie di periferia sdrucita e sporca dove ti immagini che regni la legge del più forte, come conferma una scritta sul muro in zona Tor Vergata: ‘Casa Pound. E lo squadrismo ritorna’. Ecco perché forse stanno tutti zitti anche sul pullman. Eppure, ricorda un graffito sulla metro B al rientro, ‘chiesa-esercito-politica contano perché c’è un popolo. Ma il popolo siamo noi. Non dimenticarlo!’. Ma quale popolo? Quello che tiene famiglia e non ha tempo nemmeno di capire dove si trova, o quello delle libertà e dell’amore sventolati in piazza? Un brivido mi pervade la schiena. Sulla metro A hanno già messo in funzione l’aria condizionata.
Il fine egologico giustifica i mezzi privati?

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