martedì 30 novembre 2010


Danzare la rabbia

Oggi a Roma è una giornata esplosiva. Una di quelle in cui sembra di veder convogliata tutta la rabbia accumulata in questi anni che ci hanno abituati ad un peggio che non ha mai fine. Forse sarete voi, giovani della protesta, a traghettarci verso un futuro più radioso. O forse, ancora una volta, dopo la rabbia tutto si spegnerà. Qualche ora fa anch’io sono rimasta bloccata nel traffico paralizzato di auto e mezzi pubblici ed ho optato per le gambe, che portano sempre più lontano dei motori. Il centro di Roma era in alcune strade deserto e silenzioso come in una domenica ecologica o in una giornata canicolare di pieno agosto, con un cammeo inedito: la scalinata del Campidoglio tappezzata di studenti come fosse piazza di Spagna a primavera. “Ma mo’ se ne annamo, perché la polizia ce carica”: profezia che si sta puntualmente realizzando in queste ore in cui si riportano scontri tra giovani manifestanti e forze dell’ordine nei tradizionali luoghi dello shopping compulsivo romano: via del Corso, via Frattina, San Lorenzo in Lucina, tutte lucenti di luminarie (finte) per l’arrivo ogni anno sempre più anticipato del (finto) Natale.


Si sentiva nell’aria che stava per succedere qualcosa, e mi dispiace perché so che la violenza finisce sempre per generare altra violenza. Ma il clima di oggi non è che l’apice di una tensione che abbiamo coltivato e respirato, e che continuiamo a respirare nei più diversi luoghi della nostra vita quotidiana: dai mezzi pubblici agli uffici, dalla strada alle pareti di casa. Prima della violenza degli scontri fisici, infatti, c’è la violenza di relazioni umane ridotte a merci di scambio. Prima della violenza del manganello, c’è la violenza verbale dell’affronto e dell’arroganza che non accetta il dialogo. Prima della violenza del pugno, c’è la violenza della sopraffazione nei rapporti sociali. E di questi molti volti della violenza, il cosiddetto mondo degli adulti è diventato maestro.
 
Con il tramonto dei maestri veri, uno dei quali – Mario Monicelli - ci ha lasciato alla venerabile età di 95 anni gettandosi dal balcone dell’ospedale in un estremo gesto di disperazione (o di liberazione, a seconda dei punti di vista), ne sono nati di nuovi, maestri di tutto quello che un tempo avremmo considerato inqualificabile, deprecabile e vergognoso. Di fronte a questi maestri, il minimo che ci si possa aspettare è che gli allievi insorgano. Per poi riprendere a danzare nelle strade con il fisarmonicista che per me rimane lo scatto oculare più bello di tutta la giornata: nastro tricolore al collo, occhiali dalla montatura vintage, un’aria malinconica da diseredato dei nostri tempi, suona accanto ad un gruppo di ragazzi fermi in via delle Botteghe Oscure il celebre canto delle mondine vercellesi “Sciur padrun da li bèli braghi bianchi”. Gli studenti lo guardano come si guarda lo scemo del villaggio, ed è un peccato: danzare la rabbia al suono di una fisarmonica intonata su uno dei più bei canti della nostra tradizione popolare sarebbe stato un privilegio davvero raro.

 

Nessun commento: