mercoledì 23 febbraio 2011


Qui si fa la rivoluzione



 



“Per me, la rivoluzione non aveva una personale motivazione. Riguardava tutta l’Italia. Volevamo un futuro migliore per il nostro Paese. Volevo vivere in un Paese che fosse libero dalla corruzione. Volevo che il mio Paese avesse un’immagine migliore all’estero. Volevo sentirmi italiana”.



Mi scuso con Injy per aver sostituito le parole ‘Italia’ e ‘italiana’ a quelle originali: ‘Egitto’ ed ‘egiziana’. Ho appena finito di leggere un articolo dal quotidiano egiziano ‘Al-Ahram’ e per un momento ho sognato. Ho sognato che queste parole, pronunciate da una ragazza universitaria egiziana di 20 anni, fossero state pronunciate da una ragazza italiana.



 



E voglio ancora sognare. “Ho amici che prendevano anti-depressivi e che hanno dimenticato di prendere le pillole in questi ultimi 20 giorni, e adesso le hanno gettate via. Questo è l’effetto della rivoluzione egiziana”.
Adesso la sostituzione delle parole fatela voi. Immaginate i vostri vicini di casa più tristi, se ne avete: l’anziana signora che ha paura anche della sua ombra, il ragazzo del terzo piano che assume ansiolitici come noccioline, l’insegnante impotente di fronte alla sua classe impazzita, la mamma separata e disoccupata con suo figlio. Scenderebbero tutti loro a fare la rivoluzione?



 



Forse no. Anche se domenica 13 febbraio (‘Se non ora quando’? Mobilitazione nazionale delle donne, con buona partecipazione maschile) un’aria nuova l’abbiamo respirata tutti. Un’aria allegra, che aveva voglia di cambiare al di là di ogni politica e partito. Forse non siamo sufficientemente poveri per fare la rivoluzione. Forse abbiamo le pance troppo piene e il pane non ci manca, come posso constatare ogni volta che metto piede nel panificio sotto casa.



 



Eppure abbiamo dei musi così lunghi, ma così lunghi, che davvero sembra che ci manchi qualcosa. Forse il nostro problema è che abbiamo troppo ma non lo riconosciamo. Tutti noi, seppure in condizioni precarie, abbiamo un tetto sulla testa, e riusciamo a fare ancora la spesa almeno una volta alla settimana. Magari non sarà una spesa da carrello-vagone. Ci sarà più sobrietà e attenzione ai prezzi, ma non soffriamo la fame. Certo, ci sono le nuove povertà che emergono sempre di più, e forse si tratta di aspettare ancora qualche anno per poter affermare anche noi cose del genere: “Non possiamo essere orgogliosi della nostra nazione mentre metà Paese vive sotto la soglia della povertà (= con meno di 2 dollari al giorno)”.



 



Ma – scrive l’articolista di ‘Al-Ahram’ – questa rivoluzione non è stata causata soltanto dalla povertà. “Egiziani di ogni classe, età, religione e affiliazione si sono uniti alla protesta, con migliaia di professionisti e studenti universitari al loro seguito. (…) Gente di tutte le età, persino bambini, hanno rotto la barriera della paura e hanno parlato a voce alta contro un governante che ha tenuto il coperchio sulla libertà di espressione per 30 anni”.



 



Ecco, questo noi non lo potremmo dire. Forse siamo ancora troppo liberi per poter scendere in piazza e fare davvero la rivoluzione. Così liberi che abbiamo avuto tutto il tempo e le possibilità per infiacchire muscoli, teste e desideri.
Tanto poi la rivoluzione c’è chi va a cantarla a Sanremo: “
Qui si fa la rivoluzione senza alcuna distinzione, sesso, razza o religione: tutti pronti per l’azione” (Frankie Hi-Energy, Sanremo 2008).

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