giovedì 31 marzo 2011


E poi

E poi capitano miracoli.
Capita che, mentre senti parole che ti danno il voltastomaco,
e vedi facce che con aria vittoriosa annunciano prodigi da salvatori della patria,
in un angolo di Paese estremo
ci si ritrova in uno studio radiofonico a ragionar di parole.
Quattro ragazzi e una giovane scrittrice
testano il grado di degrado di parole come
'ginepraio', 'zelo', 'satollo' e 'tralice': quattro delle quasi tremila parole che, secondo l'Osservatorio della lingua italiana,
rischiano l'estinzione per scarso uso nel nostro linguaggio quotidiano.

Tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo cacciati in un ginepraio.
Il problema è poi uscirne, forse con la stessa gentilezza della parola che evoca il cespuglio intricato, suggerisce Marino Sinibaldi di Radio3.
E tu che mi guardi in tralice, lì, dalla tua comoda sedia di un ufficio?
Continua a farlo, se vuoi, perché così mantieni vivo anche uno sguardo obliquo, diagonale, come quello di Alessandro Bonino da Cuneo, autore di blog pluripremiati come il suo 'eiochemipensavo' e
Spinoza.it, contenitore collettivo di aforismi satirici quotidiani. 
Abbiamo bisogno di sguardi nuovi,
anche periferici, basta che siano vivi e non tenuti artificialmente in vita da siringhe botuliniche che creano fessure da cui
il mondo non può che apparire ristretto e asfittico.

Asfittico: anche lui rischia di scomparire dalle nostre conversazioni
ed è strano. Perché come siamo satolli di beni e benesseri,
ci siamo ridotti e mutilati i pensieri. Anzi, li abbiamo soffocati
con le nostre stesse mani.
Sempre di operazioni chirurgiche si tratta, ma non abbiamo pagato
nessuno per farlo. Ci è venuto, per così dire, naturale, quasi come pena del contrappasso: hai voluto riempirti di ciò che non sazia?
Legge dell'equilibrio vuole che da qualche altra parte
ti svuoti. Partiamo dal cervello?

'Salva con nome' verrà trasmesso dalla Rai regionale
del Friuli-Venezia Giulia il mercoledì tra le 13.30 e le 14.15.
Ascolti chi può, e con zelo.

 

3 commenti:

utente anonimo ha detto...

Quando, recentemente, ho trovato che nel Discorso su Dante Mandel'štam ha usato la parola "disio" tal quale, in italiano, l'ho riscoperta, rivalutata e ripresa dall'angolo in cui il suo antico e prolungato uso poetico l'aveva relegata.
Lo spunto per la scoperta si trova in un post di Paolo Nori. Prima di cliccare sul link, immagina di leggerlo in russo (so che ce la puoi fare) a parte, appunto, la parola "disio".

Ciao,

Francesca

lucicosmo ha detto...

E' bello il disio, 
mi sfugge il russo però.
Devo russificare disio?
Arg!
PS: ma scrivi sempre dalla Germania?
PS2: cos'hai letto di Paolo Nori a parte il blog?
Saludos 
Lucia
 

utente anonimo ha detto...

Non, non devi. Era solo per darti un'immagine. Una parola italiana "dimenticata" (in realtà selezionata) in un mare di parole russe, quella era l'immagine che cercavo di darti (so dire pochissime cose, in russo, ma utilissime:
"anch'io la penso così"
"così" - è un altro così, da usare in risposta ad un perché, ad esempio,
"non capisco quello che dice")

P.S. No, dalla Francia.
P.P.S. Mi compro una Gilera. Giudizio ragionato: mah (grande esergo di Chlebnikov, però, immagino tradotto da lui:

Poco, mi serve.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.

Glielo scrissi anche, in un'email, che mi era molto piaciuto l'esergo. Non rispose, però. Resto di quell'avviso).

Abbraccio,

F.