lunedì 14 marzo 2011


A kind of panic

A kind of panic 
Proprio così. Proprio come dice il manifesto che qualche appiccicatore sovversivo ha attaccato sopra i classici manifesti pubblicitari. A kind of panic. Sullo sfondo, idealmente, c’è il cantante dei Queen Freddy Mercury che intona ‘A kind of magic’, con quella voce che da sola potrebbe resuscitare morti e sepolti da gran tempo. Davanti, una specie di panico. A kind of panic. Quello che ti prende quando cerchi di guardare avanti e non vedi nulla. E più guardi, più strizzi gli occhi, più la nebbia è fitta. Per non dire buio pesto.

Mille-seicento euro al mese sono pochi o tanti? Il giusto per vivere o appena sufficiente per sopravvivere? Quando si discute di soldi, l’umanità si scalda, si infervora, talora si abbrutisce. Stiamo monetizzando tutto, anche i sentimenti. Mille-seicento euro li prende il ricercatore intervistato nella puntata di ieri di ‘Presa diretta’, di Riccardo Iacona. E a me vien da commentare così, a caldo: stai contento che ti arriva intanto questo stipendio mensile visto che c’è chi non può nemmeno contare sulla metà. Poi è chiaro che, se lo confronti con l’estero, con i politici nostrani, con i calciatori, con i presentatori televisivi di punta, dentro ti viene la frustrazione, ma con i confronti non è che si vada poi molto lontano.

Vogliamo o no riconoscere che viviamo nella società del benessere? Noi che possiamo scrivere e comunicare via internet, per esempio, vogliamo o no accettare che facciamo parte di una porzione di pianeta privilegiato? Sappiamo o no che in altri paesi e continenti avere un computer è un lusso, così come essere mediamente alfabetizzati e mangiare tre volte al giorno?

E’ un lusso anche sapere in pochi secondi che ‘A kind of panic’ fa parte di un progetto di arte pubblica a Roma: 100 years from now. 100 anni da adesso. Per ora parla inglese ma può essere che in futuro possa anche italianizzarsi. Sul sito (in doppia versione anglo-italiana) compaiono anche alcune domande: Il nostro futuro è un pensiero che ci infastidisce? Ci fonderemo con le macchine o conserveremo l’unicità dell’essere umano?

Forse se iniziamo ad andare al di là dell’homo economicus, ci salveremo. Sapendo che, come ha scritto un attento osservatore della società scomparso l’anno scorso, Edmondo Berselli, “dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ma dovremo farci l’abitudine. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche tutti noi dovremo rallentare. Proviamoci, con un po’ di storia alle spalle, con un po’ d’intelligenza e d’umanità davanti”. (E.Berselli, L’economia giusta, Einaudi, 2010).

E forse così, tutti assieme, riusciremo anche a ricantare con Freddy “it’s a kind of magic”.

Nessun commento: