giovedì 15 settembre 2011


Prove tecniche di essenzialità

Ricomincio da otto.
Dall’ottavo piano di un edificio anni Trenta,
dove una vecchia affitta mansarde a studenti e insegnanti
di passaggio.
Dentro c’è tutto l’essenziale per vivere come nel quadro
di Van Gogh che ritrae la sua cameretta ad Arles: letto, scrivania per scrivere, scrivania per mangiare, lavandino per lavare i piatti e se stessi,
una ‘plaque electrique’ per cucinare, un forno a micro-onde,
un frigorifero e qualche credenza, perché in questo momento
è importante credere in qualcosa: nella vita,
nel tempo che cambia (ieri era estate, oggi l’inizio d’autunno),
negli altri.

Appena compri zucchero e caffè, ti accorgi che ti mancano
cose ovvie a casa: dove lo conservi il caffè perché non perda tutto il suo preziosissimo aroma? Ma soprattutto: come la apri la confezione sotto vuoto ora che la fobia degli oggetti taglienti post-11 settembre ci ha trasformati tutti in potenziali terroristi, basta avere nella borsa un coltellino svizzero?
Così si va a bussare dalla vecchia, che sta al piano di sotto
con il marito. Una vecchia ben conservata e molto precisa,
che ha riportato a mano per filo e per segno tutti gli oggetti
di cui è munita la mansarda, e me ne ha lasciata una fotocopia,
non sia mai volessi partire con il forno a micro-onde
sotto l’ascella come fosse una baguette.

La vecchia taglia e si informa: ha saputo quanto rimane?
Perché ella è preoccupata di non riuscire a fare un vero
affare con questi insegnanti italici supplenti che sai
quando arrivano ma non sai quando ripartono.
Vecchia, o vecchia, ma ti pare che adesso io posso
dare a te certezze? A te che abiti una casa tranquilla
e vivi con tuo marito, e si capisce che in fondo non vi manca
niente perché non hai negli occhi lampi di genio o
di oscuri presagi, come spesso hanno coloro che della vita
hanno assorbito grumi di sofferenze mal digerite.

Aver bisogno degli altri: è questo quello che amo di più,
cara vecchia, quando mi ritrovo lontano da casa.
Che per aprire il caffè devo venir da te,
per dormire su lenzuola e cuscini devo chiedere
ad una giovane italiana francesizzata,
e per mangiare e girare il riso con il cucchiaio di legno
nella pentola gentilmente fornita da te, o vecchia,
devo aprirmi alla generosità di un’altra collega
dall’occhio blu.

Sì, è questo che mi piace dell’espatrio.
Che bisogna ripartire da zero.
Ground Zero.
E piano piano si ricostruisce. Con meno
presunzione, con più pazienza,
con uno sforzo che costa qualche goccia di sudore,
ma tanto poi arriva la pioggia che
lo porta via.

2 commenti:

utente anonimo ha detto...

bellissimo post, Lucia, grazie!

vengo qui a leggerti per imparare dal tuo sguardo sul mondo a raccapezzarmi nella mia vita e ci sono delle volte in cui ciò che scrivi è proprio una perla di intelligenza e dolcezza.

Buona vita,
 

Elisa

lucicosmo ha detto...

Carissima Elisa,
è un grande conforto sapere che ci si legge e ci si capisce anche a distanza, buona vita anche a te!
Lucia