venerdì 17 febbraio 2012

Perché sono una celentanista (e sanremista)


Chi legge questo blog lo sa. Sono una sanremista nel midollo. Sogno un Sanremo che ritorni alla musica pura, ma finché c’è la kermesse (orrenda parola ormai intraducibile) dai molti miliardi e dalle molte pubblicità e dalle molte polemiche, mi tengo questo.
Conservo le energie, che già son poche, per altre guerre e indignazioni.
Così approfitto per dire che sono anche celentanista.
L’Adriano c’è da sempre nella mia vita. E’ come un secondo padre, o l’uomo che mio padre avrebbe voluto essere perché un po’, soprattutto quand’era più giovane, fisicamente la somiglianza c’era.
Celentano è stato i 45 giri che suonavano a tutto volume nel mangiadischi: ‘Azzurro’, ‘Chi non lavora non fa l’amore’, ‘Prisincolinessinanciusiol’ che faceva ballare con un ritmo che non si era mai sentito.
Per me Celentano è uno vero, autentico, che parla dal cuore, che ci crede nel profondo. 
L’ultimo suo album ('Facciamo finta che sia vero') è un bellissimo inno alla decrescita e alla bellezza del nostro Paese, deturpata da troppi anni di indifferenza e connivenze e cattive amministrazioni.
Per questo l’altra sera l’ho apprezzato, e ci sono rimasta molto male a vedere che il coro di critiche al suo intervento è stato pressoché unanime.
Da cattolica e cristiana ho invece condiviso il richiamo alla Chiesa e ai suoi organi di stampa perché parlino più di Dio che di economia. Più di resurrezione che di politica. Più di Gesù Cristo che dell’euro. E trovo coraggioso che qualcuno lo dica, seppure da un contesto in cui tutto ci si sarebbe aspettati di sentire fuorché un richiamo al Vangelo.
Proprio per questo ancora grazie per le tue parole, Adriano.

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