martedì 19 giugno 2012

Ciak. Azione!

Ci sono giornate che non si sa bene come descrivere: film d'azione? La ricerca della propria identità? Un Camel-Trophy nella giungla metropolitana? La conferma di un impossibile adattamento alla società dei cosiddetti normali ed inquadrati? Credo però che il fatto stesso di parlarne possa aiutarci tutti a sentirci meno soli e sperduti. 

Parlo a quelli che come me si trovano sempre 'fuori' da qualche struttura, ente, luogo, posto ben chiaro e definito. A chi mi legge seduto in uno di questi posti, auguro di godersi al meglio l'aria condizionata e di divertirsi a condividere per qualche minuto le mie, le nostre avventure di cittadini che non vogliono perdersi d'animo nonostante la congiura in questa direzione sia piuttosto consistente.


'Il visconte dimezzato': così è chi collabora con una nota azienda editoriale. Sul dimezzamento siamo certi, sul titolo nobiliare un po' meno ma in effetti non guasterebbe visti i tempi. Poniamo il caso che tu sia un conduttore radiofonico. Una parte del contratto parla di te come 'presentatore', un'altra come 'autore testi'. 


Sbadigli? Hai ragione. Cercherò di metter pepe nella questione, che in effetti è in realtà barbosissima. Ci sono alcune aziende editoriali che di fatto obbligano i collaboratori ad aprire la partita Iva. Tu non vuoi essere un 'libero professionista' ma, per lavorare in quella certa azienda, se davvero vuoi fare quel mestiere, l'unica opzione da accendere è la partita Iva, che d'ora in poi chiameremo Piva. Te ne vai con la Piva nel sacco: questo è il concetto.

E siamo ancora in alto mare. Se per caso tu nel frattempo avessi la malaugurata idea di diventare anche giornalista professionista dopo aver sostenuto relativo esame, le cose si complicano. A nessuno interessa che tu sia professionista. Soprattutto la cosa sembra essere del tutto indifferente agli uffici che devono pagarti  come collaboratore: non c'è la minima differenza tra un professionista e uno che non lo è. Piva nel sacco numero due.

Ma una volta varcata la soglia dell'Ordine con patentino di professionista, ecco che attorno s'ode un risveglio più che primaverile di enti, associazioni ed altri benefattori di categoria che chiedono l'esborso di piccole o grandi cifre di denaro. Tra questi, brilla l'Inpgi: Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani. Piva nel sacco numero tre. 


Tale ente si trova in via Nizza n.35 a Roma, in un quartiere molto bello e d'alto bordo, accanto ad un edificio del 1926. Solita schedatura all'ingresso, con 'pass' quasi identico a quello che ti danno in un'altra grande azienda editoriale.

Una volta entrati, rapido sguardo alla bacheca di 'comunicazioni': foto di case e ville. Oibò: è un ente previdenziale o un'agenzia immobiliare? Dimentico che i giornalisti veri, quelli inquadrati o meglio 'incastonati' in giornali, redazioni e via dicendo, hanno una lunga serie di vantaggi in tanti settori tra cui anche l'acquisto di una casa. Sorvoliamo.

Sono qui per chiarire perché non riesco ad unire il visconte dimezzato che sono diventata. Perché per te, che mi estorci euro a volontà, sono giornalista, mentre per il committente del lavoro no? Sul punto non ottengo una risposta chiara. Però una cosa me la segno. "D'altra parte si sa: lì si entra o per causa o perché si è nipoti di un onorevole".

Fuori campeggia per la strada un manifesto: Nènè. Né privilegi né sprechi. Di cosa stiamo parlando? Visto che ci sono, faccio un salto anche in un altro ente previdenziale: l'Enpals: Ente nazionale per la previdenza (e l'assistenza!) dei lavoratori dello spettacolo. All'ingresso, spettacolo di aria condizionata.

Maturo interiormente la consapevolezza che dentro (in tutti i 'dentro': dai palazzi del potere ai sindacati, fino alle grandi organizzazioni internazionali che lavorano per la fame nel mondo) c'è un mondo di privilegiati che dice di lavorare per il bene di quelli che son fuori, che però - non si capisce come mai - rimangono sempre ed eternamente fuori. E non riescono ad accedere nemmeno ad un'unghia dei privilegi di quelli che stan dentro. I quali, ciliegina suprema, spesso si lamentano di stare dentro.

Alla fine entro comunque anche all'Enpals. L'aria condizionata è la conditio sine qua non. La caterva di parole che definire 'burocratiche' è un eufemismo richiede temperature glaciali e fogli di appunti. 66 anni ma 41 di contributi, 20 anni ma 2400 giorni lavorativi, canalizzare, totalizzare, ricongiunzione, pensione principale. "Lei dovrebbe decidere qual è la sua pensione principale...". Anche questo. Dovremmo decidere. E poi a chi glielo comunichiamo? Lo scriviamo nell'alto dei cieli?

"Però qua non vedo...non è che lei rientra anche nella gestione dei para-subordinati dell'Inps?". No, mi scusi, fin là non ci arrivo. La prossima vita la scelgo un po' più semplice, grazie. Figlio che non ho, mi raccomando, non scegliere la libera professione in Italia. Scegli, se puoi, di essere libero. 

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