mercoledì 22 gennaio 2014

Vie sacre

Kazuyoshi il nome. Nomachi il cognome. 
Ha viaggiato in tutto il mondo, dall'Etiopia alle Ande, dalle rive del Gange alla Mecca, per documentare preghiere, pellegrinaggi, usanze sacre e profane di popoli ai margini della cosiddetta civiltà. Così, mentre noi qui si dibatte di Italicum, Porcellum, Renzi, Cuperlo, Berlusconi, Roma-Juventus (ieri sera tra un po' vien giù il condominio) e titoli di borsa, è istruttivo sapere che nel Sud-Sudan, colpito in questo momento da una "gravissima situazione umanitaria" (350mila sfollati a causa delle lotte tra fazioni rivali, fonte Intersos), ci si lava i capelli con l'urina di mucca. E per avere più latte dalle stesse mucche, pelle e ossa rispetto alle floride omologhe svizzere, si soffia nella loro vagina, come si vede fare ad un bambino altrettanto magro e smunto fotografato da Nomachi. 

Le foto sono tutte grandissime e dai colori pieni, adagiate come nel relitto di un'arca di Noè in un originale allestimento che accompagna il viaggio dei visitatori al seguito del fotografo giapponese. Lui per primo, e noi dietro a lui: nell'ardito pellegrinaggio andino del Qoyllur Ritti fino a una croce conficcata a cinquemila metri, che sembra una spedizione di guerra tra i monti con tanto di rito passaggio che consiste nel tenere il più a lungo possibile le mani nella neve; o nel vortice della folla che gira attorno alla Kaaba, l'enorme cubo nero adorato dai musulmani alla Mecca, o ancora nelle acque del Gange, che per il colore fangoso sembra tanto il Tevere e se domani vedessi qualcuno che vi si immerge in zona ponte Sublicio sarebbe un bel segno di sincretismo religioso e culturale raggiunto.

Paese che vai, usanze che trovi. In Etiopia a Natale i preti danzano, e se ad uno venisse in mente di andare a ritirarsi per qualche giorno nel monastero di Debre Damo per meglio comprendere la sua vocazione, si dovrebbe arrampicare con una corda su uno strapiombo. Come dire: ci vuol coraggio per credere! 

E noi di un po' di coraggio abbiamo bisogno all'inizio di quest'anno che già promette meglio di quello passato. Per quanto lo scorcio del 2013 mi ha riservato uno dei viaggi più indimenticabili della mia lunga stagione trenistica: Intercity Roma-Trieste, durata media 7 ore e mezza, nello scompartimento con tre eritrei di cui due fans delle gag di Sandra e Raimondo (avete presente due eritrei che mimano 'che noia che barba'?), un prete siro-ortodosso indiano del Kerala e una signora umbra. "Come eritrei, so'na'bbella razza", commenta la signora. Belli e buoni. A pranzo lo scompartimento diventa una grande tovaglia di carta su cui condividere patatine e ketchup del Mc'Donalds. Anche su un italico Intercity si possono aprire vie sacre e inaspettate. 

PS: la mostra di Nomachi 'Le vie del sacro' si può visitare a Roma, Testaccio, ex Mattatoio oggi centro di produzione culturale 'La Pelanda', fino al prossimo 4 maggio. 

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