martedì 16 settembre 2014

Italia che vai

Italia che vai, tempo che trovi. 
Parti con la neve, trovi il sole.
Cielo grigio su, cielo blu giù.
E son ingiustizie di cui si potrebbero chiedere reclami
al Creatore, se non fosse che ha cose più impegnative di cui occuparsi. 
"Gentile Padre, scusi, ma non potrebbe redistribuire un po' meglio 
oltre che il cibo e l'acqua, anche il sole e la pioggia?
Su nel Nordest è stata un'estate che non è stata.

Cioè è stata estate solo in mezza Italia. E il resto?"

Otto ore di Intercity per acclimatarsi alla distanza, al cambio di stagione

e di umori, con la ragazza sicula che in Sicilia ci arriverà il giorno dopo, lei che "su" 
è venuta a fare la stagione, e non si è scoraggiata quando le hanno detto
"scusi ma lei che c'è venuta a fare visto che la stagione da noi non è mai iniziata?".
Ma lei niente, tosta come le genti del Sud. Si è piazzata lì e non si è mossa, 
e così ha lavorato. Eccome se ha lavorato, "perché quando dimostri che hai voglia di lavorare, il lavoro g'è sembre". Un figlio della sua età diviso due la aspetta a casa: diciotto anni il figlio, lei il doppio anche se ne dimostra praticamente come il figlio al primo sguardo. Ma dentro la maturità delle madri precoci, che ti insegnano sempre. "Io dovrei inzegnare a lui, ma è lui che inzegna a me."

Otto ore che sembrano venti. La schiena e l'osso sacro non riescono più a reggerle simili sedute.  Ci siamo viziati ai tempi rapidi. Al clicco qui e ottengo subito. 
Per questo amo l'Intercity. Perché mi rieduca alla pazienza che perdo di continuo,
e mi traghetta da su a giù piano, con calma, sostando ad ogni santa stazione che passa. Una via crucis su rotaia da Nord a Sud, dal freddo al caldo, dalla pioggia al sole. 

E poi finalmente si arriva, ed è subito casa.
Con i rumori del cortile che sembrano prove d'orchestra,

il cielo di un blu che ti vien da berlo glu-glu,
il Tevere della grande bellezza da percorrerlo tutto,

o anche un pezzetto, in compagnia di gabbiani, germani, anatre,
turisti, ciclisti, romani, cani, poltrone e sedie dell'estate che è stata,
ancora un po' abbandonate lì, giuste per sedercisi sopra a guardare
lo splendore che è, che era, e che sempre sarà.




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