mercoledì 18 novembre 2015

Come se

Come se ci fosse bisogno di un certificato medico per certificare l'amore. O il dolore. O la malattia.
E' il vostro mestiere, cari medici che mi viene difficile apostrofare con quel "cari" che si riserva in genere agli amici.
Voi certificate, attestate, constatate.
Non ascoltate, in realtà. Non guardate nel profondo.
Ognuno con la sua specializzazione ristretta al piccolo pezzo di corpo che gli compete (nervi, psiche, cuore), che non comunica con il resto, come del resto non comunicate voi con il resto di umanità malata che vi circonda e aspetta il vostro responso, talora con ansia.
Avete infatti il vostro linguaggio: il medichese, dove l'uomo è il paziente o il soggetto.

Mai la persona tutta intera.
E' un linguaggio che comprendete voi e i vostri assistenti, che guardano paziente e familiari accompagnatori con lo sguardo di un entomologo che studia un'ala di farfalla. Uno di loro accenna ad una forma di dialogo col paziente, ma vedendo gli scarsi risultati, si spazientisce. Pazienti e impazienti uno di fronte all'altro.


La dottoressa, pallida di un pallore esangue esaltato dalle luci al neon e dal fondotinta tombale, parla nascosta dietro allo schermo di un computer. 
E parla parole gravi, pesanti, incomprensibili.
Non c'è un minimo accenno alla comprensione del dolore e dello stato di abbandono e di spaesamento in cui si trovano i familiari. Fredda, glaciale come il neon. 

E sarà forse questione di cambiare le luci, cari i miei dottori.

O magari di prepararsi a vivere un vero giubileo della misericordia applicata senza bisogno di venire a Roma, attualmente già bella blindata. Un giubileo personale e di categoria fatto di gesti prima ancora che di farmaci. Di sorrisi assieme alle prescrizioni.
Non ci perde nessuno. C'è solo da guadagnare. In tenerezza ed umanità. 


Altrimenti hanno ragione i "signori del terrore". La nostra civiltà, in qualcosa, ha fallito. Dov'è finita, per esempio, quell'arte sacra del dialogo e del tempo trascorso a dialogare, sul quale si è fondata ed è nata la civiltà occidentale?
O ha trionfato per sempre la tecnologia?

Il "c'è scritto-legga lì-lo trova sul sito", al posto di "glielo spiego io di persona, guardandola negli occhi".
Se è così, accorgiamoci presto che non c'è alcuna differenza tra "noi" e "loro", la mortifera grammatica alla base di ogni guerra e di ogni scontro. 
Tecnologici loro, tecnologici noi.
La differenza, ancora una volta, è la saggezza del Vangelo a rivelarla: "Dov'è il tuo tesoro, sarà il tuo cuore". 

Dov'è il nostro tesoro?
Cuori pieni o vuoti, ecco la differenza. 

Cuori pieni di amore o di indifferenza, ecco la differenza.
Cuori pieni di misericordia o di avidità. Questa è la differenza.

La storia ci concede sempre nuove chance per reimparare dal passato.

E per ripartire. Tutti assieme. Grandi e piccole storie.
Medici, pazienti, impazienti, padri, figli, e pure giovani terroristi alla ricerca di un senso perduto nella realtà reale.

Restiamo umani.

Dedicato a Gabriele e Giacomo, passeggeri del Frecciarossa Venezia-Roma: il primo di 4 mesi, figlio di un albanese e di una romena saliti a Bologna e scesi a Firenze.  


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