E la buona notizia è proprio questa. Che una buona scuola c’è
davvero se qualcuno ha proposto tracce intelligenti, umane e piene di sensibilità
come quelle che il mezzo milione di studenti si è trovato a leggere ieri nell’ansia
del dopo-notte prima degli esami: l’uguaglianza nell’articolo 3 della Costituzione,
il tema della solitudine nell’arte e nella letteratura, la creatività come vero
capitale umano sul quale scommettere, e ancora una pagina di letteratura di
G.Bassani come spunto per riflettere su come le leggi razziali del ’38 abbiano annientato la vita degli ebrei italiani nel secolo scorso.
La generazione del ’99, quella che un secolo fa venne
chiamata a combattere sul fronte della Grande Guerra, ha combattuto ieri un’altra
importantissima battaglia. Quella di restare per 6 ore senza cellulare a
pensare e scrivere su un pezzo di carta bianca a righe, anche detta carta protocollo. Un oggetto vetusto, forse in via d’estinzione, eppure tanto
pieno di sorprese per chi scrive e per chi poi dovrà leggere. Quando ricapiterà
mai? Sei ore per riflettere su F.Petrarca, che nel ‘300 scriveva nel De vita solitaria che la solitudine
permette di “stare come in un posto di vedetta, osservando ai tuoi piedi le vicende
e gli affanni degli uomini [...] e così dimenticare gli autori di tutti i mali
che ci sono accanto, e talvolta anche se stessi”.
Sei ore per lasciarsi illuminare da Alda Merini ed Emily Dickinson, non a caso due voci di poesia femminile capaci di parlare di solitudine con l’essenzialità di un verso, per ritrovare “un’anima al cospetto di se stessa – infinità finita”. Sei ore per renderci conto che ciascuno di noi ha un talento e che vale la pena scoprirlo, spegnendo per qualche ora il cellulare ed accendendo cuore e cervello, perché “è solo quando ci sono condizioni e tempo per riflettere che possono rivelarsi intuizioni preziose, soluzioni impreviste” (C.Bordoni, La noia creatrice, 2017). E che ci sono “tempi per esplorare la strada maestra e tempi per scrutare le vie laterali. E, forse, i tempi più intensi sono quelli in cui il richiamo delle vie laterali ci porta a cambiare strada maestra, o piuttosto a farcela scoprire per ciò che era già ma ancora non comprendevamo.” (G.Didi-Huberman, La conoscenza accidentale, 2011).
Sei ore per lasciarsi illuminare da Alda Merini ed Emily Dickinson, non a caso due voci di poesia femminile capaci di parlare di solitudine con l’essenzialità di un verso, per ritrovare “un’anima al cospetto di se stessa – infinità finita”. Sei ore per renderci conto che ciascuno di noi ha un talento e che vale la pena scoprirlo, spegnendo per qualche ora il cellulare ed accendendo cuore e cervello, perché “è solo quando ci sono condizioni e tempo per riflettere che possono rivelarsi intuizioni preziose, soluzioni impreviste” (C.Bordoni, La noia creatrice, 2017). E che ci sono “tempi per esplorare la strada maestra e tempi per scrutare le vie laterali. E, forse, i tempi più intensi sono quelli in cui il richiamo delle vie laterali ci porta a cambiare strada maestra, o piuttosto a farcela scoprire per ciò che era già ma ancora non comprendevamo.” (G.Didi-Huberman, La conoscenza accidentale, 2011).
C’è appunto bisogno di tempo. Quello che oggi le nuove
tecnologie ci stanno strappando secondo dopo secondo se non ci autoregoliamo da
soli. Tempi vuoti, tempi di noia, tempi da non riempire per forza con qualcosa. “Ti viene qualche dubbio su dove stiamo andando”, raccontava in treno un
giovanissimo e talentuosissimo biologo di Latina ad un suo coetaneo triestino
della minoranza slovena, teatrante e agricoltore al tempo stesso. “E’ sempre
tutto molto veloce, quando guardo mia sorella rimbambita davanti ad Instagram mi
cadono le braccia…certo, detta così sembra che facciamo discorsi da vecchi”,
ammettevano i due ragazzi. Ma poi il finale, grandioso: “Tornare all’agricoltura.
E’ lei che decide il tempo.”
Qualcuno ha scritto che si tratta di una “scommessa mancata”,
che i ragazzi temi del genere non saranno in grado di affrontarli, ma
personalmente credo invece che i ragazzi del ’99 stupiranno gli adulti
sfiduciati e pessimisti che stiamo diventando con il tempo che passa e le
numerose crisi – reali o virtuali – che ci circondano.
Il capitale umano siamo noi, e siamo noi adulti assieme ai
ragazzi che diventeranno gli adulti di domani. E’ possibile far finta di
niente, abbrutirci con il cinismo, la cattiveria, la maleducazione, il pensar
male, le calunnie e la diffamazione: esperienze quotidiane che alcuni vivono
ancora oggi negli ambienti di lavoro del progredito e civilissimo occidente. E’
possibile chiamarci fuori dicendo che in fondo noi il nostro dovere lo stiamo
facendo, è colpa degli altri. Ma, come ebbe a cantare un caposaldo del pensiero
filosofico italiano nazional-popolare parecchi anni fa, “gli altri siamo noi”.
Non ci vogliono grandi politologi o politicanti dell’ultim’ora a darci nuove
regole di convivenza civile. Basta anche riprendere Umberto Tozzi del ’91.
Anacronistico dite? Il problema sarà quando anacronistiche saranno considerate
le tracce dei temi dati ieri all’esercito del mezzo milione di maturandi. E
speriamo davvero che questo non accada mai.
1 commento:
Che bel post! Commento dopo tanto tempo, col tempo che rincorre e la sensazione di non aver tempo. Ma proteso verso l'agricoltura.
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