E' una scia grossa e spumosa quella che segna una progressiva distanza dalla città. Tutto è da fotografare, anche solo interiormente: il mare blu, le sagome dei palazzi che si assottigliano, il vento, i volti dei viaggiatori. Una gioia bambina trasfigura tutto, e mi godo i raggi del sole che, passati i cinquanta, non è più solo piacevole tintarella ma salutare fonte di vitamina D e terapia naturale per molte di noi.
E' potente il mare, una forza della natura. Sono pochi quelli che si mettono a contemplarlo per l'intera durata del viaggio, in piedi come fusi, eppure è davvero uno spettacolo che merita di essere guardato da vicino. Non importa se gli occhiali diventano presto marmorizzati per il sale, non importa se le orecchie si assordano per il fracasso sonoro del motore. Importa solo essere lì e lasciarsi abbacinare.
Allo scoccare dell'ora e un quarto, quando secondo la tabella di marcia dovremmo già essere arrivati a Grado, siamo ancora nel bel mezzo del mare. Un dubbio mi avvolge: sarà che ho sbagliato battello e siamo in realtà diretti a Lignano? Un ciclista tedesco mi conforta dall'alto del suo elmetto protettivo. "Tutto ciusto, stiamo arrivando a Crado!". Si entra infatti nella laguna e si approda, finalmente. Sul molo d'attracco una ragazza con la scritta "La sposa" si sbraccia: dov'è la sposa? Sono io? Era a bordo e non me n'ero accorta? Un gruppetto di giovanissime con maglietta che accenna ad una sbronza imminente scorta una ragazza acconciata con estro sbarazzino. Applaudiamo e ciascuno sbarca come meglio può.
Ma è al rientro che il viaggio si rivela audace come il molo da cui è partito il battello. C'è l'entusiasmo e la stanchezza della giornata trascorsa in spiaggia o nel centro storico della cittadina lagunare, ma soprattutto c'è la voglia di condividere qualcosa con i passeggeri ritrovati. Mamma e figlia abbronzatissima vengono da Agrigento, hanno visitato Grado e Trieste, Miramare in testa, e ne sono entusiaste. "In Sicilia non c'è solo la mafia - ci tengono a precisare - e poi anche qui non è che si stia poi così tranquilli..." Sono loro che mi informano della sparatoria in pieno centro che c'è stata al mattino a pochi passi dal loro hotel.
Il mare dopo il tramonto è nero seppia, il vento della sera sconquassa e sono intrepidi quelli che decidono di fare le sentinelle sulla prua per tutta la durata del viaggio. Si tratta, come nell'andata, di lasciarsi salare dagli spruzzi, di vedere fosco per circa un'ora e quaranta - tanto dura il viaggio nella realtà - e di urlare come forsennati per fare due chiacchiere comprensibili in mezzo al rumore assordante del motore. Ma come sempre ne vale la pena. Un ragazzo si incappuccia con l'asciugamano a guisa di monaco per combattere il freddo umido e mi ispira a fare lo stesso con il foulard. Non prima di aver scambiato due parole con una signora milanese di origini napoletane, che anch'ella magnifica la bellezza di Trieste. "Soprattutto è bellissima la condivisione degli spazi comuni!". Ovvero? Rozzol Melara? No, via, il Lungomare barcolano. "Tutti si mettono lì, su quella striscia di cemento a prendere il sole, con grande naturalezza". E' bello sentire la traduzione che lo straniero fa di qualcosa che per te è ormai quasi connaturato. D'ora in poi diciamo che andiamo a condividere gli spazi comuni, non che andiamo "al bagno" a Barcola.
Ed eccoci lì fuori sulla prua, seduti o in piedi da equilibristi, a ritrovare una normalità di respiro e aria nei polmoni imbarcata con tutta l'ebbrezza che ci arriva dalla pandemia in cui siamo ancora immersi. C'è' il ragazzo monaco con l'asciugamano, la ragazzina incappucciata con la felpa come tutti gli adolescenti, e la sottoscritta sistemata un po' come una naufraga.
Sì, è proprio a tutti i naufraghi che mi viene da pensare nella notte buia. Ci sono le lucine della città in fondo perché siamo in un golfo: immagina di essere nel mare dove non ci sono appigli visivi, con il freddo che sale e il sale che ti ricopre. E tu che scappi, non che fai il turista. Si spegnerebbe qualunque cinico discorso politico se qualcuno provasse a farla questa esperienza. Se si provasse davvero a mettersi nella pelle degli altri.
Ma arriva la poesia. A sinistra un nugolo di gabbiani bianchi ci segue. Ci scorta. Volano alla nostra stessa velocità. Mi sale dentro il canto degli "Uccelli" di Battiato, e mi affiora pure l'albatros di Baudelaire nella versione radiofonica di Jack Folla e "Un dj nel braccio della morte". Seguono visioni delle colombe dello Spirito Santo. C'è aria di libertà. Di quella pura, che vola alto. "Sa perché ci volano così vicini? Perché noi muoviamo il mare, ci sono le luci e loro vedono dove tuffarsi". Creature meravigliose, che per una volta vanno al nostro stesso passo. Siamo tutti in movimento.
PS: nello zaino il manuale "La storia in movimento". La storia mette in moto. Metti in moto le tue storie! Buona ripresa a tutti!
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