Fino all’ultimo non ci si crede. Dopo che per mesi e mesi tutto resta lì, fermo, immobile, o dietro ad uno schermo o davanti ad uno schermo: a parlare, ad ascoltare, a guardare l’Italia che si vaccina, l’Italia che porge il braccio a migliaia e migliaia di aghi ripresi da migliaia di telecamere. Finché non ci si mette in viaggio non è possibile che esista altro orizzonte se non quello: la pandemia, la malattia, il virus, gli ospedali, i vaccini, le polemiche correlate, i negazionisti, la scuola a distanza, la scuola in presenza, le ore sincrone e asincrone, e l’elenco potrebbe continuare per righe e righe se non ci fosse quell’invenzione sacrosanta che dovrebbe essere un diritto per tutti e lo è invece per pochi: la vacanza. Fino all’ultimo sembra davvero un’invenzione. Sembra che non sia possibile concedersi il lusso di “vacare”, cioè di essere vuoti, liberi di vagare, di avere un altro pensiero in testa che non sia soltanto la paura di ammalarsi, di essere contagiati e di contagiare.
Il viaggio ritrovato - Green pass nello zaino e ci si mette in viaggio. Tutto scorre. Sulle rotaie. Quelle vere del treno e quelle metaforiche della vita. Tutto va avanti. Anche nel tempo della pandemia, a un anno e mezzo dalla sua ufficiale comparsa in Italia. L'Italia viaggia, si muove, ma con tutte le precauzioni del caso: mascherine sui treni, liquidi igienizzanti, distanziamento attento. La Polizia controlla che tutti rispettino l’obbligo di rimanere mascherati per tutta la durata del viaggio. Qualcuno pensa di farla franca? Viene gentilmente invitato a scendere. Il signore che aveva segnalato il “caso” dei due passeggeri privi di dispositivo di sicurezza - ormai ci siamo abituati a parlare come un manuale tecnico - gongola con un chiaro eccesso di nevrosi. Volano parole grosse. “Tutta colpa loro se poi a settembre ci ritroveremo di nuovo come l’anno scorso!”. Nitrisce di rabbia, mentre una signora vicino ha appena finito di disinfettare in modo compulsivo i sedili sui quali si sistemerà con la figlia. Anche lei gioisce per lo zelo dell’altro passeggero. Poco dopo si inabisserà in una lunga telefonata mettendo comodamente i piedi sui sedili da lei stessa disinfettati. Ormai siamo un popolo altamente igienizzato.
Ecco cosa mancava da un po’: osservare, ascoltare, mimetizzarsi tra gli altri al di fuori di uno schermo, e se capita scambiare due parole con chi condivide uno stesso tratto di strada. La socializzazione! Non ne hanno bisogno soltanto i ragazzi, come si è detto tante volte nei mesi scorsi, ma anche gli adulti. Che però ogni tanto la inquinano con malumori e incomprensioni e quello che in triestino è un’intraducibile parola dal suono onomatopeico: “cinciut” = “folletto, incubo notturno, senso d’oppressione, strana irrequietezza” (dizionario Il nuovo Doria, M.Doria-N.Zeper). Ovvero, per estensione, stato d’animo di persona “agitata, scorbutica o di cattivo umore”. Il minimo in era Covid? Ma questo c’era già prima, via, e pure in dosi massicce. Ognuno poi il suo malanimo lo cura come può e crede. Scambiare due parole con altri passeggeri a bordo di un treno può essere altamente terapeutico per alcuni, perché ti porta fuori dal tuo mondo popolato di incubi notturni anche di giorno. Pertanto, più passano le ore, più il viaggio appare una grande benedizione del cielo.
Ancora la Polizia che passa e sbircia nella gabbietta di una ragazza seduta: c'è un gatto grigio scuro senza pelo, “effetto tipo vellutino”, dice la ragazza con accento toscano e “t” aspirata; “è un gatto anallergico”, le fa eco il fidanzato. Beatitudine del viaggio che ti porta su treni che uniscono l'Italia e non la dividono, come nella demente gazzarra politica. A bordo due signori campani di una certa età; lui mostra orgoglioso il passaporto vaccinale della sua regione: una tesserina digitale che ha garantito solo De Luca. Come sempre originale e unico, appunto. Mi cambio mascherina nell'intercapedine tra una carrozza e l'altra. Il signore dice che secondo lui c'è una speculazione su queste mascherine: se siamo vaccinati questo non basta? Allora hanno ragione i no-vax? Quante domande sono aleggiate e continuano ad aleggiare in questi mesi! E quanto abbiamo rischiato di rompere rapporti di amicizia o colleganza per diversità di vedute su questo o quell’altro aspetto della pandemia. Ma perché non fidarsi di chi ne sa più di noi? Allora è vero che tutte le crisi, come avevo letto tempo fa, sono prima di tutto crisi di fiducia: che non ti fidi più di nessuno e ti vuoi fare giustizia da solo, invocando una libertà che nessuno ha mai negato a nessuno. Basta farsi due passi sotto un carcere e il concetto brilla chiaro. Dialogare, comunicare, parlarsi, anche attraverso una museruola. “Come bambini che l’hanno fatta grossa”, ha scritto l’anno scorso profeticamente la poetessa Mariangela Gualtieri nella poesia sul lockdown “9 marzo 2020” (qui il link).
La grande bellezza – Ed eccoti, grande bellezza, ci sei sempre! Sei sempre rimasta lì ad aspettarci. Roma è lì da secoli, strato dopo strato nel quale anch’io mi rispecchio. Ripasso ciascuno dei sedici anni trascorsi lì, tra le strade della capitale più calda ed affettuosa che io abbia mai conosciuto. Quel posto dove ti senti a casa subito. Dove tutto è possibile: incontrare “barboni” e nobili lo stesso giorno; Roberto Saviano alla Basilica di Massenzio che regala una grande lezione su Dante e un gran bazar di guide turistiche fuori dal Colosseo che offrono visite guidate come panini o bibite sul treno; il Papa da San Pietro che impartisce la benedizione da una finestrella lontana e la “stracciona” seduta davanti al Viminale che impreca contro il cielo: “Solo per questo non deve leccare i piedi a nessuno!” Il soggetto resta sospeso nell’aria, assieme alla rabbia profonda.
Siamo voce. Siamo paesaggio sonoro. Mi lascio avvolgere dalle tante voci di dialetti e lingue multiformi: voci romane, francesi, spagnole, inglesi, misto-mare. Un flusso musicale ininterrotto nel quale fare il bagno, schivando i tanti monopattini che sono la vera novità post-Covid tra le strade della capitale. Monopattini e monnezza, monopattini e turisti che iniziano di nuovo ad arrivare e a dare nuova linfa a questa città benedetta dal Padreterno prima che da Romolo e Remo.
Roma è il primo Sud che incontri scendendo dal Nord. Il Sud del calore e del degrado umano. Il Sud della bellezza sfacciata del cielo blu mediterraneo e degli orologi che vanno ognuno all'ora che vuole, come ha notato acutamente la cugina informatica. Il Sud della spazzatura fuori dai cassonetti e della povertà abbandonata a se stessa. Come statue nelle nicchie delle chiese, i "barboni" stazionano tra una vetrina e l'altra, sui marciapiedi, nei posti lasciati vuoti da vasi di fiori. Sono le statue dello scarto. Della solidarietà tanto invocata da Papa Francesco.
Poi alzi lo sguardo ed è lo stupore degli oleandri bianchi, fucsia, rosa nelle strade, e dei pappagallini verdi fluorescenti che fanno il loro tipico verso stridulo tra gli alberi del centro, dopo il carosello di rondini impazzite che svegliano la città al mattino presto. Roma grande parco esotico di palme e vegetazione lussureggiante a due passi dal caos del traffico. Lì una bouganville fucsia acceso si inerpica accanto ad un posto che vende pizza al taglio da sogno di un mezzogiorno infuocato; ti giri e, a due passi dal capolavoro del Mosè di Michelangelo a San Pietro in Vincoli, ti viene incontro una massima messa lì così, da chissà quale poeta di strada: “Nun me godrò ‘n soriso fino ‘n fonno finché sarò cosciente der fatto che da quarche parte in questo assurdo monno...tanta gente nun soride affatto!”. Sembra che dentro scorra un continuo dialogo silenzioso tra la capitale e chi gira per le sue strade. Dappertutto sono messaggi da meditare o semplicemente guardare e portare a casa: “Siamo sudati di allegria”. Verità di un luglio infuocato. “Non sei tu ad essere diverso, ma gli altri tutti uguali”. Confortante.
E poi gli incontri. Quelli che capitano così, per caso, quando meno te lo aspetti, come quello con il signore seduto di fronte nei giardini di Piazza Vittorio recentemente rinnovati. Ha una vita da raccontare: la distrofia muscolare, il ricovero per Covid con la moglie, l’aggressione subita a causa del suo handicap, ma anche le passioni che fanno vivere, come l’arte, la comunicazione e la scrittura. E ancora il nobile immobiliarista e pure agente di spettacolo di attori famosi, che snocciola massime di saggezza profonda come questa, simile ad un detto triestino: “Case saranno che noi non saremo”. Come a dire: cerca, cerca, ma nel frattempo vivi al meglio la vita. Senza scordare che “il tempo migliore è quello che sembra perduto”.
Oh, vita! - Come posso io non celebrarti Roma, canterebbe anche Jovanotti? Sei naturalmente predisposta al dialogo, al contatto umano, ai rapporti interpersonali. Roma è comunitaria nel DNA, nessuno si sente escluso. Nessuno, nemmeno i tanti, tantissimi senzatetto che sono accampati un po' dappertutto. Forse è l’effetto del Covid, o forse l’occhio si è abituato ad un Nordest dove non c’è posto per quel tipo di povertà vissuta per la strada sotto lo sguardo di tutti.
C’è chi approfitta delle tante fontanelle di acqua fresca e gratuita per lavarsi in pieno centro. Sotto il Lungotevere è aumentato l’accampamento di tendine per chi non ha davvero altra scelta se non quella di dormire sotto i ponti. Fuori dalla Stazione Termini qualcuno ha “prenotato un posto” ammassando le sue masserizie – sacchi di plastica e coperte - dove di notte si sistemerà a dormire. “Sa perché fanno così?”, spiega il tassista. “Perché nei posti dove potrebbero dormire hanno paura che qualcuno gli rubi la loro roba”. Questo lo sapevo anche da Ginni, africana dal cuore mite che mi ha insegnato più di tanti maestri titolati.
E faccio un bagno di umanità e di sudore. E dentro si rinasce a nuova vita. Perché Roma è anche oasi spirituale di chiese ad ogni angolo, e di tanto silenzio e contemplazione. Anche fuori dalle chiese. Anche sulle terrazze del quartiere Testaccio, dove ho vissuto a lungo respirando l’aria serena della sera. Qui la pandemia ha rinvigorito i rapporti umani, paradossalmente, proprio durante il primo lockdown dell’anno scorso: “Ci siamo ritrovati qui sulla terrazza a fare yoga, o a fare conversazione in inglese, o a mangiare qualcosa assieme”, raccontano gli ex vicini di casa. E quei rapporti nati così, sull’onda del buio di un evento inaspettato e tragico, hanno generato vita.
E c’è dell’oro in questo tempo strano – Allora sì, ha davvero ragione la poetessa Mariangela Gualtieri: “C’è dell’oro, credo, in questo tempo strano”. C’è dell’oro, ma bisogna prendersi il tempo di contemplarlo. Per reimparare che siamo ricchissimi, viviamo in paradiso ma ce lo scordiamo. Sul treno del rientro distribuiscono gratis acqua di Fiuggi, gel igienizzante, mascherine. In bagno c’è il sapone e la carta igienica. Tutto scorre, e all'arrivo altre sorprese con il sapore d'estate: una crociera di mezz'ora a venti all'ora per raggiungere da Grado l'isola di Barbana, dove ad attendere i pellegrini c'è in chiesa una "gatta mistica" - così dicono i benedettini che ora hanno in custodia il santuario - felice di partecipare alle messe; e al tramonto il Castello di Miramare di Trieste animato da note shakespeariane. Pertanto, seppure ancora nel bel mezzo di una pandemia, non posso non evocare Etty Hillesum e lodare questa vita nell'estate 2021.
* scritta benaugurante sui poggiatesta dei sedili dell'Eurostar. Questo è un post asincrono buttato giù tra luglio e agosto e pubblicato solo ora come testimonianza per il futuro.
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