sabato 16 gennaio 2021

Estranei sulla strada

Io li ho visti. Non sapevo dargli un nome ma li ho visti che sbucavano fuori dagli alberi dei boschi che lambiscono la strada statale, a pochi passi dall’Università “grande”. Li ho visti mentre ero in macchina e tornavo da scuola: giovani, pochi anni in più degli studenti, volti dalla pelle scura, felpe consunte con il cappuccio, una bottiglia d’acqua in mano, a gruppetti di tre-quattro, camminare uno dietro l’altro verso non so dove. Mi sono domandata chi fossero: certo “migranti”, come diciamo quando non sappiamo da dove vengano queste persone né dove vadano, ma siamo certi che non sono triestini in cerca di asparagi in Carso.

E poi li ho visti di nuovo, proprio a pochi passi da dove sono nata. In periferia, quasi di fronte al negozio di giornali che conosco da quando sono bambina. Erano stati fermati da una camionetta militare ed erano seduti per terra, questa volta un gruppetto più nutrito. Ma pioveva, e di nuovo ero in macchina, e di nuovo dovevo andare da qualche parte e non potevo fermarmi, così l’ho fatto ancora una volta. Ho voltato la testa dall’altra parte. Poi me ne sono dimenticata.

L’ho letta la parabola del buon samaritano, la conosco bene, l’ho pregata e l’ho anche riletta nell’enciclica di Papa Francesco 'Fratelli tutti', nella parte intitolata appunto “Un estraneo sulla strada”. E loro erano precisamente questo: estranei sulla strada. Avevo letto e sapevo dentro come ci si deve comportare, per non ritrovarsi un bel peso sulla coscienza. Ma non l’ho fatto. Sono andata avanti, e ho dimenticato, sopraffatta dal resto.

Oggi posso dare un nome a questi estranei sulla strada. Oggi so, e non posso più tacere né dimenticare. Ho ascoltato la presentazione del dossier “I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa”, organizzato questa mattina dalla rete “RiVolti ai Balcani”, ed ho sentito parlare chi sta dedicando la sua vita e il suo impegno a quella che oggi è una criminale “politica di respingimenti” che a catena, un Paese dopo l’altro, nega un diritto fondamentale a degli esseri umani che hanno l’unica colpa di voler abbandonare la loro patria, in Asia o Medio-Oriente, alla ricerca di una speranza di vita.

Oggi sono certa che quei ragazzi provenivano dalla “rotta balcanica”. Forse ce l’avevano fatta ad arrivare fin qui, a differenza delle migliaia di persone che vorrebbero varcare il confine della Croazia per arrivare nel cuore dell’Europa, e vengono brutalmente respinte dalla polizia croata. Sono respingimenti che in alcuni casi possono essere definiti anche vere e proprie deportazioni - quali parole dobbiamo ancora risentire in questo nostro tempo -, per impedire che queste persone arrivino anche da noi, in Italia. Ci sono i numeri e le testimonianze: più di 21mila persone respinte tra marzo 2019 e il 2020 dalla Bosnia-Erzegovina. E noi? Noi cosa c’entriamo? Anche l’Italia – è stato ricordato questa mattina – fa parte di questo meccanismo di violenza. Anche noi siamo complici. Ma non lo sapevamo.

Ora che lo sappiamo, cosa possiamo fare? Restiamo indifferenti, così come è successo già altre volte nella storia? Ce ne laviamo le mani perché abbiamo altro a cui pensare, vedi alla voce pandemia? C’è qualcosa che comunque possiamo fare, seppure in un momento in cui siamo tutti immersi in una gigantesca emergenza che però non ci nega il diritto di essere curati, di mangiare, di dormire con un tetto sulla testa, di stare al caldo in un appartamento con termosifoni bollenti?

Possibile che documenti e documenti firmati da Paesi che si dichiarano democratici e civili, ivi inclusa l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile dell’Onu, per la quale tutti noi siamo chiamati ad impegnarci, non riescano a fermare la barbarie che si sta consumando a pochi passi da noi?

Continuano a risuonarmi nella testa le parole di Primo Levi che racconta l’inferno di Auschwitz:

“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo.”

E ancora, nella prefazione del libro: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.”

Sì, ci sentiamo impotenti oggi di fronte a quello che sta accadendo a pochi chilometri da casa nostra. Ci sentiamo impotenti ma non possiamo più far finta di niente.

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