giovedì 18 luglio 2024

Giorni perfetti

In fila per papa Francesco. In fila per vedere Wim Wenders e il suo “Perfect Days”. Sono davvero “giorni perfetti” i nostri. Giorni perfetti per parlare di pace. Per non arrendersi alla guerra, per bandire questa parola dai nostri dizionari.

Passando da piazza Unità in questi giorni accaldati sembra che non sia successo nulla. Tutto come prima, la fontana al suo posto e i palazzi della più bella piazza affacciata sul mare lì, fermi, immobili. Ma i luoghi parlano non solo di ciò che vediamo, di ciò che è lì stabile e immutabile, ma anche di ciò che quei luoghi hanno visto e che si è impresso dentro di noi.

Così, anche se è passata più di una settimana dalla visita del papa nella nostra città, il desiderio di scrivere e ricordare è rimasto qui, nel cuore, seppure un po’ annebbiato dal sole e dal caldo. Quello stesso sole che a un certo punto, nell’omelia del papa gli ha annebbiato la vista e ha fatto scattare un applauso di solidarietà.

Miracoli della vita e di questa estate triestina: non arrivano solo lo sport, i concerti, l’elogio della scienza e della tecnologia nella Trieste laica ed asburgica che attrae sempre più turisti. Arriva un Papa. E che Papa. Ce lo ricorderemo per sempre quel giorno. Prima una lunga fila, lunghissima, un serpentone inedito che si è formato almeno fin dalle 7.30 del mattino nelle vie limitrofe alla piazza, attesta un’amica scesa di buon’ora per assicurare il posto anche a tutto il resto del gruppo. La messa inizierà alle 10.30 ma dai varchi si può entrare fino alle 9. E noi siamo lì, tranquilli, in fila, e la città così in fermento alle 8.30 del mattino di una domenica di luglio chi l’aveva mai vista?

Bello ritrovare nell’attesa qualche vecchia conoscenza dei tempi che furono, bello scambiare due chiacchiere e una bottiglietta di acqua ghiacciata. Siamo lì per farci riscaldare il cuore, per vedere questo grande, saggio anziano, guida spirituale che riluce come perla preziosa, ha detto un’altra cara anziana. Perché stiamo per ritrovarci in piazza tutti assieme: tutte le età, migliaia di persone che si sono date appuntamento sotto il sole cocente perché abbiamo bisogno di sentire parole di incoraggiamento, di pace, di bellezza, di riconciliazione. Abbiamo bisogno di non sentirci soli in questo desiderio di un mondo che respiri, che abbia speranza e non si scoraggi, non si lasci abbattere dal nero dei pessimismi e delle sirene di sventura.

Per questo anche nei giorni che precedono il 7 luglio, data della storica visita a Trieste di Francesco, ho voluto prendermi il tempo per girare tra gli stand della Settimana sociale dei cattolici. Tanti i messaggi rincuoranti già all’interno dei gazebo, come questo, che ho scolpito nel cuore: “Non esistono ragazzi cattivi” (Associazione Kayros di don Claudio Burgio); e poi “I ragazzi non sono vasi da riempire, ma cuori da accendere”, frase di Plutarco che risuona nello stesso stand per l’associazione Portofranco, centro di aiuto allo studio che sa guardare alle difficoltà dei giovani non come emergenza sociale ma come occasione per far risplendere luci nella nebbia della dispersione scolastica. E ancora i deliziosi dolcetti allo zenzero e limone di “Cotti in fragranza”, laboratorio di prodotti da forno nato nel 2016 all’interno del carcere minorile Malaspina di Palermo.

Il 3 luglio, giorno di apertura della Settimana sociale, abbiamo seguito da casa gli interventi inaugurali del presidente Mattarella e del cardinale Zuppi: che volti meravigliosi, che umanità rinfrancante, che parole tutte da trascrivere sul fedele quadernetto degli appunti. Vorrei scrivere tutto, non dimenticare nulla.

“Superare la logica della rassegnazione”, dicono alcuni giovani siciliani in apertura.  E poi il focus su Trieste, città di confine segnata da ferite profonde: ma “non vogliamo che i confini siano muri, o peggio trincee, ma ponti e cerniere”, dice Zuppi, uomo che esprime bontà da ogni poro del suo viso. E noi abbiamo bisogno di sentircelo dire proprio qui, in questa città che ha fatto parlare di sé per la vicenda dei migranti costretti a vivere a pochi metri da un Silos nato per far parcheggiare auto, e diventato negli anni disumano parcheggio di esseri umani invisibili, problema da non risolvere, da dimenticare, da lasciare lì, a marcire nel putrido.

Le parole sono pietre ma possono anche essere consolazione, balsamo che scalda il cuore. Anche in questo momento di grande angoscia per tutto ciò che ci circonda: guerre, ingiustizie, violenze all’ordine del giorno. Zuppi ricorda anche la tragica vicenda di Satnam Singh che sognava il futuro, vittima del caporalato e della disumanità. “Oggi la democrazia soffre perché la società è attraversata da tensioni amico-nemico, mentre è solo nella relazione che ciascuno comprende il suo valore”. Una lectio magistralis sulla democrazia arriverà qualche minuto più tardi nelle parole del presidente Mattarella, rimbalzate il giorno dopo in tutti i notiziari: “Occorre attenzione  per distinguere tra il parteggiare e il partecipare”, e ancora “la democrazia non è mai conquistata per sempre”, perché dietro questa parola, o forse meglio dentro questa parola ci siamo noi, tutti noi: io che ora scrivo, voi che vi state prendendo del tempo per leggere. Tutti noi siamo inclusi e siamo coinvolti, facendo ognuno del suo meglio.

Un po’ come il protagonista di “Perfect Days” di Wim Wenders: un uomo che ogni giorno pulisce i bagni pubblici di Tokyo con tutta la dedizione di cui è capace, felice di essere ciò che è, nella semplicità e nella solidità di una vita che non rincorre stress e arricchimenti superflui, “così felice di esser nato”, avrebbe cantato Riccardo Cocciante. E come per miracolo in questi giorni perfetti a Trieste tutto si è incrociato ed incontrato: il film di Wenders riproposto al Giardino pubblico con tanto di fila chilometrica, uno spettacolare concerto gratuito con le voci di Cocciante, Roberto Vecchioni, Simone Cristicchi, Amara, Mr.Rain e Tiromancino, e infine persino papa Francesco in quella stessa piazza prima gremita di sedie e poi della più varia umanità.

E si vorrebbe scrivere e trascrivere tutto, e raccontare per testimoniare e dire che non ci sono solo nubi nere in questo nostro tempo. Ma anche tanto bene, tanta commozione, tanto desiderio di ritrovarsi assieme non sui social ma dal vivo, seduti lì, tutti in piazza in una fantastica sera di luglio ad ascoltare musica “Al cuore della democrazia”, o in quell’indimenticabile domenica piena di sole e di azzurro ad ascoltare questo papa profetico e così umano. Così vicino al cuore di ognuno di noi, che si proclami credente o meno.

Ed è questa forse la vera vacanza: lasciare il vacuum, il vuoto, lo spazio libero per accogliere bellezza. Vacanza che sa vagare, che sa essere vuota di tutto ciò che a volte sembra essere oggettivamente troppo, tra lavoro e insaziabili quantità di messaggi che affannano e appesantiscono l’anima. Povere creature che credevano, con la tecnologia, di guadagnare tempo per sé e invece, lentamente, sono state risucchiate dalla stessa tecnologia, scambiata per una nuova divinità che tutto stabilisce e tutto crea.

E così, mentre pochi di voi sono riusciti ad arrivare fin qui perché il pezzo è oggettivamente lungo e risente della mancanza di un limite dettato dalle battute di una pagina di giornale, arriviamo alla domenica papale. E a questa figurina bianca che attraversa i corridoi della piazza mentre noi ci spostiamo a destra e sinistra per vedere dove riusciremo ad incrociare il suo sguardo, magari per gridargli, come un gruppo di ragazzi: “Ola chico! Ti vogliamo bene!”.

Ritrovare “l’infinito nell’umiltà”. Ritrovare Umberto Saba e la sua stupenda “Città vecchia”, che risuona in modo così perfetto e semplice nell’omelia di questo papa argentino, gesuita e francescano al tempo stesso: ritrovare l’infinito negli “scarti” dell’umanità, negli emarginati, negli esclusi di sempre, tra periferie e disagio esistenziale. Sentire l’incoraggiamento a tutta la chiesa triestina, sentire gli applausi quando Francesco cita la rotta balcanica e la necessità di non scartare nessuno. Lasciarsi abbracciare da questa voce sommessa, mite, di un papa buono che vuole solo dire bene. Benedire. Ecco, grazie Francesco, sei stato una grande benedizione per tutti noi e siamo stati felici di accoglierti qui, in questo angolo di estremo Nord-Est di cui tu hai voluto ricordare la storia e la grande vocazione: “Da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità”.

Sogniamo che queste parole raggiungano tutti, potenti della terra che ancora si trastullano nell’inutile e folle gioco della guerra e della contrapposizione a tutti i costi. “Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti. Tutti fratelli, con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima”.

 

 


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