Ce l’abbiamo fatta. Dicevano che era peggio di un lutto o di un divorzio. Che era la prima causa di morte. Ma in definitiva siamo rimaste vive. Come, nel profondo, non si sa. Mamma e figlia sopravvissute ad un trasloco a seguito di uno sfratto. Ed ora in procinto di affrontare il primo Natale “fuori casa”, ovvero nella nuova casa.
Un upgrade, dice una cara
amica. Cioè siamo avanzate di grado. La zona è servita, altra frase ricorrente.
Servita da chi e da che cosa? Anzi: serve a chi o a che cosa? Sì sì, lo so,
ingrata che non sono altro. Servita dai mezzi pubblici, che se vuoi arrivare al
molo Audace non fai altro che prendere un bus al capolinea e lasciarti
trasportare fino all’altro capolinea. E son soddisfazioni (detto senza ironia).
Sì, ma c’è un però. C’è sempre un
però, come diceva il missionario ospitato in casa qualche settimana fa. Voi
italiani parlate di qualcosa in modo positivo, ma poi ci mettete sempre quella noiosa
congiunzione avversativa: però. E’ bravo, però. E’ bello, però. E allora: casa
nuova nuova vita, epperò con qualche magagna. Per esempio scopriamo di essere
invase dai fuochisti. Embè, non siamo vicini a Capodanno? Avere i fuochisti in
casa è un gran vantaggio, non credi? Botti, girandole, fuochi d’artificio
d’ogni sorta che partono direttamente dal balconcino di casa. Fuochisti pronti
al lancio dei mortaretti. Tutto compreso nel prezzo.
Ma i nostri fuochisti son di
tutt’altro genere. “Lo sa che si chiamano così?”, domanda il signore della
disinfestazione che sta per procedere alla loro eliminazione. No, non lo
sapevo. Non lo sapevo che gli insetti marroncini e raccapriccianti che troviamo
tanto, troppo spesso in cucina – Uh, uno sul muro! Ah, due per terra! Arg, uno
sul fornello! - vengono chiamati così perché i loro antenati venivano dalle
stive delle navi dove c’erano le caldaie. E loro lì vivevano, al calduccio, e
lì hanno iniziato a riprodursi. Fino ad arrivare, dal mare alla terra ferma,
nelle nostre cucine alla ricerca di zone calde come lavastoviglie, forni e
dovunque sentano un po’ di tepore. Forse anche calore umano. Ce n’è tanto
bisogno.
Abbiamo fatto l’upgrade, si diceva. L’aggiornamento. Dalla periferia alla semi-periferia servita. Vedevamo cinciallegre, cigni, germani e passerotti. Li nutrivamo, ci parlavamo, li andavamo a trovare. Ora i nostri compagni quotidiani sono gli insetti fuochisti, creaturine orribili e lestissime quando sentono che gli dai la caccia. Ops, dimenticavo! Non solo: anche i tanto vituperati piccioni cittadini e, scoperta di questa mattina, i mastini del Tibet. Non in casa, quelli no. Anche perché son veri e propri leoni.
E’ un signore a condurne due al guinzaglio:
splendidi, con criniere anni ’80 alla Tina Turner, quasi ruggenti. Ma loro non
hanno voce. Si annusano, si avvicinano, io dentro un fremito di paura lo sento
sempre. Ma sono buoni? Il padrone, neanche uno avesse detto uno sproposito:
certo che sono buoni! Sono mastini del Tibet, e sono antichissimi, preistorici,
esistevano quando l’uomo abitava ancora le capanne. E ti si guarda, caro
mastino del Tibet, nei tuoi immensi occhi acquosi e tristi. E forse tu ci
capisci meglio di chiunque altro. Hai scalato l’Himalaya, hai attraversato deserti,
steppe, monti e mari per arrivare fin qui. Altro che trasloco. Buon Natale a tutti!
PS: qui la bandiera della pace
sul terrazzino è stata semi-stracciata dal vento sferzante di oggi, ma noi
crediamoci sempre sempre sempre nella pace possibile!
Nessun commento:
Posta un commento