giovedì 20 aprile 2006

Ho perso le parole

Credo di averle perse un po' nel treno Roma-Trieste (due Eurostar con aria condizionata gelida sparata come se fuori fosse piena estate, che mi hanno fatto arrivare mezza svenuta a destinazione; salvata solo da qualche fava romana e un 'capitano di porto' tragicamente militante centrodestra) e un po'  in quello Trieste-Roma: regionale + Eurostar partito ed arrivato con 100 minuti di ritardo causa 'investimento' di persona (commento cinico di signora ferrarese: ma scusi questo non poteva scegliere domenica per suicidarsi? E continuiamo a farci del male...).

E poi mettici la primavera, e questo tempo post-elettorale, peggio di un trauma post-operatorio: sensazione di sospensione, desiderio di cambiare pagina e invece le facce e le pagine sono ancora quelle. Si attendono conferme, il Paese vuole controllare, verificare. I vinti non accettano di essere vinti, i vincitori vorrebbero una pacca sulla spalla da parte dei vinti, e così finisce che non sappiamo neppure più decretare chi sono i vinti e chi sono i vincitori, ammesso che ce ne siano ma pur sempre di competizione elettorale si è trattato. Competizione, quindi gara, quindi qualcuno vince e qualcuno perde. Rosi dal tarlo dello scetticismo, della sfiducia e del discredito che infanga l'altro, esitiamo, titubiamo ad occupare i ruoli che ci spettano.

Allora è vero che siamo "alla deriva", come ha scritto il francese Marc Lazar. Gli stranieri da fuori ci vedono sempre meglio, e in francese ammetterete che suona davvero fine: 'L'Italie à la dérive'. L'Italia alla deriva, che sono passati 10 giorni dalle elezioni e ancora non ci capiamo niente. Paese spaccato, diviso in due, lacerato. Come lo scompartimento dove mi sono ritrovata a fare campagna elettorale domenica 9 con un 'capitano di porto' (quelli che lavorano alla capitaneria di porto si chiamano così no?). Dico: saremo mica così scemi da rivotarlo no? Eh, scemi, fa quello. Scemi sarete voi a votare quelli dei Pacs, e il Prodi mortadella delle donazioni ai figli ecc. Misere storie di soldi che finiscono per decretare i futuri rappresentanti della nazione. Non riesco a crederci. Non riesco ad accettare che Ici e tasse e donazioni determinino una decisione che riguarda la politica. LA POLITICA. Quella brutta parola che non mi è mai piaciuta, e che però è così bella, a ben guardare. E io la voglio guardare con sorriso greco, anche se ci sarebbe da piangere. E rinnovo la fiducia ad Ulivi, Unioni, grissini e mortadelle. Però, cari sinistrici, adesso basta elemosinare conferme e plausi o altro. Andate avanti, rimbocchiamoci tutti le maniche e via, sennò davvero domani è lo stesso giorno. E a me mi sembra già un incubo.

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