martedì 30 settembre 2008

Senza palle

Dunque da giovedì scorso posso dire con certezza che sono ufficialmente una donna senza palle. Ho quindi il diritto di rinunciare a qualsivoglia genere di lotta, abbandonandomi supina a quello che la vita deciderà per me. In nome della privacy, tanto amata da politici e medici, comunico che mi sono state asportate due cisti del diametro rispettivamente di 2 e 6 (dico 6) cm. Mi sento più libera e leggera? Non ancora, perché in questo momento la famiglia ha voluto essere vicina alla convalescente, e questo arreca talora una sorta di peso specifico più significativo di quello occupato timidamente da quelle che qui chiameremo, per convenzione e sintesi, palle.

L'ospedale è un luogo dal quale fuggire a gambe levate se non fosse che normalmente serve al fine opposto: tenere chiuse, sigillate e malate (anche se non lo sono) le persone che, appena varcata la soglia del reparto, diventano 'i pazienti'. Non importa se tu la pazienza non sai neanche dove stia di casa, è un tuo problema, una tua paranoia, un difetto di fabbrica al quale è necessario reagire indossando se non altro l'abito del paziente. Cioè? "Cioè, signora, lei come si veste per andare a dormire?". Ecco, il paziente si deve agghindare così: pigiama, pantofola (con tacco basso, alto, argentato o felpato a seconda dei gusti), vestaglia o scialle per le donne che amano i costumi un po' rétro. La vestizione da paziente è in grado di provocare già da sola uno stato di malattia latente, che diventa patente (ma non paziente) quando gli altri degenti iniziano a sfoderare il meglio dei loro racconti autobiografici risalenti al periodo pre-ricovero ospedaliero. Chiunque soffra, anche in modo lieve, di suggestioni esterne, condizionamenti da parole tristi, ipersensibilità alle tragedie altrui, stia pur certo che non ne uscirà vivo. O meglio, inizierà ad invocare in cuor suo di essere presto anestetizzato in modo onnicomprensivo e totale per diventare cieco e sordo ad ogni genere di sventura.

"Allora, signora, è pronta?". Quando mai sei pronto nella vita? Dillo con sincerità: quando? Non si è mai pronti, men che meno a spogliarsi nudi e ad indossare lo speciale camice da sala operatoria: una vestina bianca ingentilita da pallini azzurri che lascia dietro uno squarcio aperto sulle parti che normalmente copriamo nelle relazioni civili con il mondo. Devi fissartela al collo come un bavagliolino, ma il giro d'aria che mi coglie impreparata sulle terga mi spinge ad usare il foulard turchese come cintura di protezione dagli spifferi e dagli sguardi indiscreti dell'altra paziente reduce dall'intervento. "Cosa fa, signora? Deve togliersi tutto, anche i calzini!" Segue puntura di antibiotico su chiappa prima abbandonata come peso morto, poi messa in posa secondo quanto richiesto dagli infermieri senza umana pietà per il pianto che inizia a sgorgare sincero e copioso. Ma in fondo ricordatelo: sei un paziente, non un essere umano! Quale agnello condotto al macello, arrivo nell'anticamera della sala operatoria. Qui vengo lasciata sola a continuare a lacrimare perché, come ammesso anche dall'infermiera, meglio sfogarsi prima. Avete forse un fazzoletto? "No, fazzoletti no ma garze". Garze come se il muco fosse sangue da tamponare? Ma allora ditelo che lo fate apposta: tutto concorre alla malatizzazione di chi è in fondo ancora vivo e vegeto. Ci avete tosate come pecore, fatto uno speciale clistere, tolto lo smalto ai piedi perché se manca ossigeno (=se muori nel frattempo) si deve vedere dalle unghie, cos'altro volete da noi? Il sonno eterno.

Il principe azzurro mi bacia e io mi risveglio. Giusto in tempo per fare la pipì distesa a letto con una padella sotto il sedere. Quale essere umano può urinare orizzontale? E allora non capisci: te l'ho detto che sei un paziente, non un essere umano, cerca di non scordartelo. Il paziente reduce da intervento, immobile a letto e rintronato dall'anestesia, deve così urinare. Sarebbe meglio che qualcuno con pazienza lo accompagnasse al bagno ma il paziente sei tu, non pretendere dagli altri quello che non riesci a fare in prima persona. Infatti non ci riesco ed allora ecco entrare in scena il catetere, che già quando lo senti pronunciare ti provoca un brivido lungo la schiena. Il catetere è una minaccia: se entro mezzanotte non fai la pipì, lui arriva in tuo soccorso. Catetere sembra un cateto di triangolo isoscele un po' sbilenco, un oggetto misterioso che associo a mio nonno ricoverato in ospedale 25 anni fa per faccende ben più gravi. E' giunta mezzanotte, si spengono i rumori, si spegne anche l'insegna di quell'ultimo caffè. No, caro Mimmo, all'ospedale non si spegne mai niente. La luce al neon del corridoio rimane perennemente accesa, notte e giorno, e di notte quando gli infermieri vanno e vengono per portare ed asportare le padelle urinatorie (anche detti 'quattro salti in padella'), il neon ti ammazza come una spada affilata sugli occhi che desiderano calma e buio. Tempo scaduto, tesoro, catetere-time!

Poi a un certo punto sei fuori. E ti sembra di aver vissuto in un teatro o forse in un film al quale tu hai prestato solo una parte di te. Indicativamente la peggiore. Aspetti i titoli di coda e nel frattempo contempli i tre fori imperiali che hanno consentito ai medici di entrare ed uscire liberamente dal tuo ventre. La prossima volta ci metto il cartello: divieto di accesso. Anzi, visto che siamo a Roma: varco attivo. O non attivo? Lascio aperto il finale, completate a piacere. (se volete rimpinguo il racconto di altri particolari raccapriccianti, ma solo su speciale ed esplicita richiesta)

11 commenti:

utente anonimo ha detto...

tutta la solidarieta' da un tipo sano, circondato da ospedalizzati, ma mica e' colpa mia.

massimo

ilGufoRosso ha detto...

carissima Lucia,
se c'è un frangente (di questa avventura obliqua che chiamiamo vita) in cui si può aver voglia di sentirsi considerati semplicemente per quel che si pensa, è quando il nostro malandato corpo fa le bizze... tutta la mia più accurata vicinanza al tuo disagio, Lucy, non perchè sto bene mentre tu adesso non tanto, ma per quanto pensiamo e desideriamo insieme riguardo al rapporto tra gli umani, i loro disagi, le loro allegrie.
Ancora un bacio e rimettiti presto
Il Gufo

bigsoul ha detto...

prima o poi io ci scrivo un libro sull'ospedale...

utente anonimo ha detto...

auguri lucia
gr

Arlon ha detto...

Non voglio fare il sapientone ... anche perchè non lo sono... sulle istituzioni totali come l'ospedale o il carcere consiglio i testi del sociologo antropologo Erving Goffman... soprattutto Asylums e La vita come rappresentazione. Anzi più il secondo che il primo. Il secondo analizza casi proprio come quello di cui parla Lucia. La situazione, il contesto ti dice quello che sei, ti fa diventare un "coso", ti prescrive i comportamenti, sembra trainare le emozioni che tutti devono avere verso il malato. Ti fa paziente e quindi malato prima che persona, con una testa e una coscienza.
Ciao
ANgelo

utente anonimo ha detto...

da uno che soffre di suggestioni esterne, condizionamenti da parole tristi, ipersensibilità alle tragedie altrui e che in ospedale s'è fatto due interventi e due anestesie totali.. un bel ENNAMO!! è fatta.. un bacio, lucì.


ps. io, orizzontale, non c'ho mica solo urinato ;-)

utente anonimo ha detto...

Auguri....

mroz.ek

utente anonimo ha detto...

Buona ripresa Lucia, anche se credo e spero dalla verve che emerge dal tuo scritto che tu stia già infinitamente meglio!

Credo che l'ospedale quasi meglio del carcere (ma parlo per sentito dire io non l'ho mai sperimentato) è il luogo in assoluto più idoneo a farti apprezzare come si stia meglio fuori dalle sue mura.

Purtroppo nel giuramento di Ippocrate si parla di rispettare la dignità della professione ma non di rispetto della dignità dei pazienti, si parla di rispettare la libertà di scelta del paziente (come può essere libero di scegliere uno che di medicina non se ne intende?), di "tutelare la salute fisica e psichica dell'uomo e sollevarlo dalla sofferenza" ma purtroppo la tutela della salute psicologica è lasciata unicamente alla sensibilità propriamente innata del personale paramedico che a volte lascia un pò a desiderare...
per es. invece di proporre il ritorno del grembiulino a scuola, non aiuterebbe di più allungare di qualche cm la stoffa dei camicini operatori?

con affetto
Filo

Arlon ha detto...

come va lucia?
angelo.

utente anonimo ha detto...

son viva son viva son viva!

Diemmezeta ha detto...

Cara Lucia,
mi sveglio con il tuo soliloquio mattutino, piacevolmente sorpresa di sentirti argomentare con serietà e leggerezza. A proposito di esperienze ospedaliere vorrei precisare che purtroppo le ASL sono diventate aziende ed i malati sono chiamati utenti o clienti, con tutto quello che ne consegue. Perciò la Sanità pubblica si basa, oggi più che mai, sulla responsabilità personale di medici che sappiano ristabilire il primato della persona e difendere quel pochino di "welfare" che é rimasto.
Auguri Lucia, e dimentica il "brutto film".