giovedì 14 ottobre 2010

Appassioniamoci


 


Ci sono film che ti risuonano dentro facendoti vibrare qualcosa ed altri che invece ti lasciano totalmente indifferente. L’ultimo lavoro di Carlo Mazzacurati, ‘La passione’, per me fa parte della prima categoria. Al centro della storia c’è un regista (Silvio Orlando) bravo ma inesistente nel gotha dei grandi registi italiani, che da 5 anni non produce più un film per assenza di ispirazione o forse perché le sue ispirazioni non sono ‘vendibili’ sul mercato. Attorno a lui ruota un mondo cinico e materialista, incarnato da un produttore la cui disumanità è perfettamente esemplificata dal fatto che il suo unico vero interlocutore quotidiano è il cane. L’attrice (Cristiana Capotondi) per la quale il regista dovrebbe scrivere una sceneggiatura è una ragazza giovane e bella, ma già rovinata da un sistema di pensiero e di valori per cui esistono dei ‘perdenti’ e degli ‘sfigati’, ovvero persone che in realtà vivono la loro vita affrontandola anche con il suo carico di fallimenti. Qualora lei, che è diventata famosa in una fiction televisiva dove fa la principessa, dovesse interpretarne il ruolo, si sentirebbe sminuita o lei stessa fallita.

C’è poi il mondo del piccolo borgo toscano dove il cellulare non prende se non salendo sulle scale esterne di una casa. Qui approda un extraterrestre (Giuseppe Battiston): un buffone, un clown travestito da marziano, un ragazzo che poi scopriremo essere un ex detenuto ancora ricercato. E’ lui la figura chiave della svolta umana del regista, che a un certo punto dà un calcio a chi lo vorrebbe schiavo di una mentalità basata soltanto sul profitto e sul successo. E’ il ‘marziano’, infatti, ad incoraggiarlo ad accettare la proposta del piccolo comune di affidare a lui la direzione di una sacra rappresentazione della passione di Cristo nel giorno del venerdì santo. La proposta è in realtà un ricatto al regista che, tralasciando i lavori di manutenzione di un appartamento che possiede nel centro del borgo, ha causato danni agli affreschi di una chiesa adiacente. Questa apparente disavventura diventa, come spesso capita nella vita, una grande occasione di riscatto esistenziale. La passione inizia a prendere corpo. All’individualismo esasperato della realtà urbana si contrappone l’impegno corale di un intero paese nel cercare di mettere in scena, con i poveri mezzi a disposizione, l’evento centrale della fede cristiana. E qui si inserisce anche la prova comica di Corrado Guzzanti nelle inedite vesti di un Gesù così pieno di sé, da crollare paralizzato sotto il carico di una croce voluta così pesante da lui stesso per dimostrare la sua forza.

Nella messa in scena della passione di Cristo vengono a galla le tante contraddizioni della nostra vita ormai secolarizzata, ostinatamente contraria ed indifferente ad un Dio che è in realtà molto più vicino alla nostra realtà quotidiana di quanto non si possa pensare. E quell’evento di più di duemila anni fa, diventa presente e vivissimo quando l’ex detenuto Battiston è chiamato ad interpretare Gesù al posto dell’altro messo ko dalla sua tracotanza. E’ un momento di grande poesia, per me uno dei più belli di tutto il film: il regista sussurra alle orecchie del nuovo Cristo appena caduto a terra tra l’ilarità generale dei presenti, che lui è perfetto in quelle vesti in quanto deriso, perseguitato, ex carcerato, emarginato. Anche Maria Maddalena (Kasia Smutniak), giovane di origine polacca abbandonata dal fidanzato, è dentro alla sua parte. E la passione diventa non più una pièce teatrale ma la vita vissuta di ognuno, chiamato ad intessere la storia sacra con la sua umanità, fatta di riso e pianto, di piccole scelte di ogni giorno e grandi occasioni di rinascita che spesso scambiamo per incidenti di percorso.

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