giovedì 14 ottobre 2010

Caro Silvio

Caro Silvio, ti scrivo non per distrarmi un po’ ma per dirti che due giorni fa ti ho capito e a un certo punto mi sei persino mancato. Sì, Silvio, perché l’altro ieri pomeriggio, quando il cielo incominciava ad ingrigirsi minacciando pioggia, ci siamo ritrovati sulla terrazza di palazzo Grazioli per sentir parlare di conflitto di interessi. Cribbio! - esclamerai tu con quell’inconfondibile accento da cumenda milanese - ma avete ancora voglia di occuparvi di questo vetusto e polverosissimo tema, e per di più a casa mia? Non noi, Silvio, ma tre giornalisti che ‘Caffeina Magazine’ e il suo direttore Filippo Rossi hanno chiamato appositamente per discutere di “conflitto, senza interessi”: Flavia Perina (direttore del ‘Secolo d’Italia’), Antonio Padellaro (direttore del ‘Fatto quotidiano’) e Lucia Annunziata (editorialista della ‘Stampa’ e conduttrice del programma televisivo domenicale ‘In mezz’ora’, che tu abbandonasti qualche anno fa in quanto indispettito da qualche sua domanda o forse, tout court, dal suo aspetto fisico non corrispondente ai tuoi canoni classici di bellezza femminile) .


 


Il cortile interno di Palazzo Grazioli a RomaOh, Silvio, quale emozione provammo ad entrare finalmente da cittadini nel palazzo che ti vede ogni tanto protagonista di prodezze erotiche, ogni tanto di discussioni politiche, ogni tanto forse di tutte e due le cose assieme! Un palazzo sempre interdetto a noi tutti per la presenza massiccia di forze dell’ordine che ogni giorno ti presidiano e ti proteggono, tenendoci all’oscuro del fatto che tu, in realtà, di quel palazzo occupi soltanto il secondo piano mentre il resto è affittato anche da altri, per esempio la società ‘Reti’, che guarda caso è la più grande società italiana di lobbying ed è alloggiata significativamente al quinto piano con terrazza annessa, per guardare lontano ma sempre in direzione degli affari che contano. E lì ti ho capito, Silvio. Lì, nella “tana del lupo”, come Antonio Padellaro ha definito casa tua, lì, nel “luogo simbolo dell’anomalia italiana”, secondo le parole di Filippo Rossi, ho capito la radice dei tuoi problemi e dei tuoi affanni.


 


Essa si chiama traffico. Traffico e inquinamento. Sì, Silvio, perché questo palazzo Grazioli delle mille e una meraviglia è in realtà immerso, accerchiato, soggiogato e soffocato dai rumori del traffico che non si spengono mai essendo quello il vero cuore pulsante della capitale. Sirene di ambulanze, sirene della polizia, sirene di macchine blu, clacson di auto, clacson di autobus, motori truccati di motorini mescolati al rombo di qualche indomito centauro della strada, creano un impasto sonoro che non lascia mai dormire, toglie il sonno ed accresce le angosce. E allora ecco perché le feste, Silvio, ecco perché i canti a gola spiegata, ecco perché i ‘Meno male che Silvio c’è’ intonati da cori di fanciulle chiamate apposta per spegnere quel calderone infernale di chiasso perenne.

Tu, Silvio, avresti bisogno di un po’ di silenzio, della pace di un chiostro, di una stradina deserta di campagna dove raccogliere funghi e castagne con un cestello di vimini poggiato sul braccio, come ho visto fare qualche giorno fa ai contadini delle colline modenesi. Roma ti sta abbrutendo, Silvio, molla tutto, lascia che noi ci si continui ad incontrare sulle terrazze del tuo palazzo per parlare di conflitto d’interessi che ormai non interessa più nessuno, lasciaci soli a godere di una vista mozzafiato sul Vittoriano, sulle guglie di palazzo Venezia e sul retro della Chiesa del Gesù, fuggi lontano, ma non prima di aver bevuto un bicchiere di prosecco con noi, o se vuoi di moscato che è più dolce, perché poi alla fine del dibattito peraltro poco dibattuto dal pubblico, c’è stato anche un buffet, e in pochi minuti ci siamo tutti dimenticati della politica per gettarci a capofitto nelle mousse al cioccolato e nelle creme chantilly, e in fondo una cosa mi è risultata chiara: l’uomo con la pancia piena non potrà mai combattere nessuna vera battaglia di giustizia, stiamo tutti troppo bene per indignarci nel profondo di qualcosa, e in fondo questo conflitto di interessi fa ancora gli interessi di molti, troppi, che non hanno voglia di risolverlo perché risolvendolo forse perderebbero il loro ruolo nella vita.

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