martedì 26 ottobre 2010


Su di noi

“Su di noi, l'amore è una favola. Su di noi, ci avresti scommesso tu.”
Pupo, dove sei? Ti nasconderai mica sul tram n.8?
“Su di noi, l'amore è un favola. Su di noi, ci avresti scommesso tu.”
Ma Pupo non c'è, è andato via, Pupo non è più cosa mia.
Al suo posto un pupo vero, un pupone, come direbbero qui a Roma.
Un pupone che regge un cellulare dal quale esce musica,
perché com'è noto il principio che sta ormai alla base

delle nuove tecnologie è questo:
comprami, ti farò fare un sacco di cose contemporaneamente
di cui la principale diventerà presto secondaria;
tu mi chiami telefono ma io ti faccio il profilo di Facebook,
ti faccio i film, ti faccio le mail, ti faccio le foto, ti faccio la musica,
e soprattutto mi faccio sempre i fatti tuoi. Saremo inseparabili.

“Su di noi, l'amore è una favola. Su di noi, nannarannananà.”
“Che bella canzone”, commenta il pupone con il cellulare musicale
a bordo del tram numero 8. E nessuno lo ascolta, nessuno gli risponde,
nesssuno quasi lo degna di uno sguardo perché abbiamo tutti paura
di guardare chi parla da solo ed ascolta musica così, en plein air,
non con le cuffie nelle orecchie come gli altri 'normali'.
Eppure anche lui, il pupone, è vestito come gli altri: felpa scura,
cappuccio, jeans, scarpe da ginnastica, solo che è in vena
di romanticismo e lo vuol dire al mondo.
“Quant'è bella 'sta canzone...mortacci tua!”
Un romanticismo venato da tristezza, rabbia, “l'altro giorno
là ce stava n'ambulanza che portava via 'na ragazza...”
Chissà i suoi occhi cos'hanno visto, chissà cosa lo ha colpito così forte
da indurlo a ripescare proprio un classico di Pupo da usare come
colonna sonora del suo e del nostro viaggio.
La scena deve essere stata davvero tremenda.

Chissà, chissà, quanti chissà in questa società che avrebbe tanto
voglia di parlare e invece tutti zitti, muti, guardinghi e sospettosi,
perennemente nascosti dietro ad un paio di cuffiette o di occhiali
scurissimi anche nelle giornate plumbee.
Esce il pupone ed entra un ragazzotto alto con i capelli rossi
e una microfisarmonica da bambini senza tasti.
Si appoggia per qualche minuto al palo dove c'è l'obliteratrice
e poi, come un automa, parte per una lunga passeggiata sul tram.
“Sono morto di fame, sono morto di fame”,
una litania continua accompagnata dalla fisarmonica senza musica,
soltanto il suono dell'aria che entra ed esce dal mantice.
Deve aver visto gli zingari musicisti che fanno così,
e questa è la sua personale interpretazione
di quel modo di chiedere la carità.

Volti, musiche, miserie e nobiltà:
sui mezzi pubblici c'è l'umanità che non compare
in quelli che si chiamano mezzi di comunicazione di massa,
eppure entrambi sono mezzi, ma questi ultimi considerano
massa quella che acquista e consuma,
il resto può anche crepare di fame tanto non fa numero né cassa
né audience né share né auditel né trend né gossip né pil.
Solo scarti, rifiuti, che peraltro non si possono nemmeno differenziare.
“Su di noi, ci avresti scommesso tu. Su di noi, mi vendi un sorriso tu,
se lo vuoi cantare sognare sperare così”. 

1 commento:

utente anonimo ha detto...

Ciao Lucia, ho ascoltato parte della tua intervista a Eugenio Bennato e mi pareva interessante anche se con lui non deve essere facile scherzare, giusto? Mi è sempre sembrato leggermente antipatico, comunque preferisco il fratello. Tu sei sempre brava, come al solito. Ciao da Pierpaolo e Tiziana da Trieste.