domenica 23 gennaio 2011


L’importanza di essere onesti *



 



Può il Primo Mondo accettare lezioni dal Terzo Mondo?



Sì, se il Terzo Mondo si chiama per esempio ‘paese degli uomini onesti’ (nel senso di ‘integri, retti’). Questo vuol dire ‘Burkina Faso’, nome che volle dare all’Alto Volta il presidente rivoluzionario T.Sankarà, ucciso nel 1987 pochi mesi dopo aver pronunciato uno storico discorso sul debito estero.



In questo paese dell’Africa occidentale sub-sahariana, tra i più poveri del mondo, ho trascorso 2 settimane e mezzo tra la fine di dicembre e la metà di gennaio, facendo un’esperienza di turismo ‘responsabile’ che ha voluto dire in primo luogo regredire ad un tempo senz’acqua e senza elettricità in grado di mettere a dura prova la tenuta fisica e psicologica di qualunque occidentale ricco e viziato. Da questo tempo di regresso volontario, fatto di notti in capanne di paglia e strade sterrate, credo di aver tratto alcune lezioni e una miriade di domande che probabilmente mi accompagneranno ancora a lungo. Una per tutte: riuscirà il Terzo Mondo ad affrancarsi dal Primo Mondo che lo vuole comunque tenere sotto il suo controllo, foss’anche con la nobile scusa degli aiuti umanitari?



Postilla: i Sud del mondo sono destinati ad essere sempre i Sud dei Nord ricchi e supponenti? E se per una volta ribaltassimo la carta geografica?



Mentre lasciamo aleggiare queste domande sui nostri computer, ecco le prime 11 lezioni dal Paese degli uomini onesti.



 



* per gentile concessione di Oscar Wilde e del suo ‘L’importanza di chiamarsi Ernesto (Onesto)’





1. L’insostenibile leggerezza della legna in testa
Una cappa di pensieri vi appesantisce la testa: a quale corso di ginnastica iscrivervi? Possibile che non siate ancora riuscite a trovare la crema per guarire dalla cellulite? Perché vostro marito ha sempre il broncio? Cercate le soluzioni e le risposte sulla vostra pagina di Facebook ma, nonostante abbiate totalizzato 1356 amici, le domande rimangono. E pesano. Meglio allora alzarsi un po’ prima al mattino e andare a fare la raccolta della legna nella savana. Si tratta di un’attività riservata soltanto alle donne, che dal Primo al Terzo Mondo accumulano più rabbia per svariati motivi e quindi sentono maggiormente il bisogno di sfogarla, per esempio a colpi di macete. Orlandesse furiose in formato africano, le donne indigene della savana si arrampicano agili sugli alberi e spezzano con disinvoltura esotica rami che son grossi come tronchi, mentre le occidentali si limitano a raccattare bastoncini sottili già forniti naturalmente dalla terra. Al termine della raccolta, la fascina di legna viene caricata sulla testa e poggiata in equilibrio instabile su uno speciale cerchio-corona di sostegno, spesso formato da un pezzo di stoffa arrotolato (da cui la celebre battuta: “Ho un cerchio alla testa!”). Percorsi 25 metri con questo peso sul cranio, molte occidentali vorranno barattare i propri pensieri con la legna da ardere: pesa di più ma a un certo punto si scarica, per esempio sul fuoristrada delle ricche suore bianche di passaggio.




2. Fatti mandare dal maestro a prendere l’acqua
Mentre il mondo studentesco e universitario italico protesta per la riforma Gelmini, la scuola nel Burkina Faso riprende il 4 gennaio, prima della Befana (non ci sono befane in Africa: le donne son tutte belle, anche da vecchie) e delle estrazioni della lotteria di Capodanno. Non tutti i bambini possono frequentarla perché è a pagamento e spesso lontana molti chilometri dal proprio villaggio, così se non si ha un asino-bus, la spedizione potrebbe richiedere un risveglio più che anti-lucano. Si devono comunque svegliare all’alba i bambini della scuola di Djoassen, micro-villaggio nel cuore della savana irraggiungibile: il maestro chiede infatti la loro partecipazione attiva nel recupero dell’acqua al pozzo, che dista qualche chilometro dalla stessa scuola. Ogni giorno ci va un gruppo diverso di scolari, che parte verso le 6 da casa con un carretto e ritorna in tempo per l’inizio delle lezioni. Per restare ad insegnare in zone come quella, prive di tutto ciò che rende la vita comoda, l’insegnante deve avere almeno un incentivo: l’acqua per lavarsi e cucinare, procurata dai suoi studenti. In un’altra scuola di un villaggio non troppo distante, gli studenti durante le vacanze natalizie si occupano di irrigare un orto scolastico che produce, tra l’altro, i semi dell’eliotropo, dai quali si ricava un prezioso olio per idrocarburi. Studenti motivati, studenti fortunati, anche nel bel mezzo del nulla.






3. Un tè per tre



Più di un film o di uno spettacolo a teatro, il lungo rito del tè verde è quello che ci vuole per l’occidentale stressato da ritmi di lavoro talora disumani. I popoli nomadi e sedentari del Sahel (Peul, Tuareg, Songhai) lo offrono in 3 tempi, che possono durare anche 3 ore: “amaro come la vita, dolce come l’amore, sublime come la morte”. Meglio non eccedere con tempi supplementari perché si tratta di un potente eccitante, in grado di tenere svegli l’intera notte con strascichi ansiogeni su metà della giornata successiva. Chi ha voluto osare si è ritrovato a vagare nel deserto, in compagnia del cielo stellato e del raglio disperato degli asini, che al buio affidano il dolore accumulato durante la giornata in cui hanno dovuto funzionare come auto, bus, treno e taxi per intere famiglie in movimento sulle strade del paese. Davanti ad un tè verde, apprestato con gran calma in una capanna-salotto comunitaria, possono nascere amori, improvvisi sonni violenti con russata sonora, ed anche accese discussioni sul tema: ma è proprio vero che voi siete più buoni e felici di noi?



PS: Le teiere di plastica colorata che si vedono qua e là vicino a piccole strutture rettangolari senza tetto e spesso anche senza porta, non sono usate per il tè verde ma come lavandino, doccia e bidè portatile: un’altra forma di tè per tre.

4. Galline via col vento



Chi l’ha detto che galli e galline devono rimanere confinati in un pollaio? Essi nella savana hanno libero accesso a tutti i luoghi frequentati dall’uomo, dalla casa al cortile, senza escludere la corsia dell’ospedale, dove probabilmente rallegrano i malati in attesa delle visite dei parenti. Il gallo risveglia al mattino e il pollo è un dono prezioso da portare in tavola. Metti da parte l’animalista che c’è in te e ritorna al tempo in cui l’animale era non solo cosa buona da mangiare, ma felice variazione in una dieta complessivamente basata soltanto su riso e cereali. Dopo sere e sere di cous-cous, spaghetti e riso, non saluteresti anche tu con ululato di gioia l’arrivo di un gallletto alla griglia? E allora accetta di buon grado il dono di 2 o 4 polli, che prima dovrai tenere in mano come un mazzo di fiori (scena altamente letteraria, evocativa del manzoniano Renzo coi capponi) e poi ti caricherai sul portapacchi della macchina come un paio di sci: durante la corsa, le loro teste penzolanti ti guarderanno interrogative dal finestrino laterale, il collo gonfio di piume per l’improvviso giro d’aria. Galline via col vento. Che non potranno mai dire: “Domani è un altro giorno”.



 



5. Salutare!
Uno dei giochi più divertenti che possa fare l’occidentale in viaggio sulle strade di questa Africa, è quello di mettersi a salutare qualunque sconosciuto incontri sulla strada (sarà mica nata qui l’ispirazione per il ‘salutare!’ di ‘Gioca Jouer’?). Gli hanno spiegato che è una nobile usanza locale quella di salutare gli umani che incrocia anche per un breve frammento di tempo, così dall’auto che lo trasporta in giro come un privilegiato visitatore dell’Altro Mondo, egli può sentirsi per qualche istante come il Papa o un grande benefattore dell’umanità: gli basta alzare il braccio e agitare la manina e, se non è colto da spasmi intestinali troppo insistenti, sorridere. Rispondono tutti: bambini, vecchi, donne, giovani, chi agitando a sua volta la mano, chi con un sorriso così aperto da far quasi paura, chi addirittura con salti di gioia. Non rispondono le caprette (‘le caprette ti fanno ciao’ ce le aveva solo Heidi) e gli zebù, curiosissimi bovidi provvisti di una gobba pronunciata sul dorso in corrispondenza del collo. Il loro saluto è probabilmente muto, affidato a quel rigonfiamento di adipe che raccoglie umori e malumori di ogni giornata.



 



6. Hai voluto la bicicletta? E allora pedala!
Cercare un bagno vero nella savana o nel deserto è come cercare un ago in un pagliaio. Può essere che, dopo lungo vagare, si possa trovarne uno dal formato riconoscibile gentilmente offerto dalla reception di un hotel, ma di base esso corrisponderà sempre alla più elementare forma di toilette che l’essere umano possa inventare: un buco in genere di forma circolare, talora decorato anche da una patina di ceramica, per giungere alle lussuosissime ‘turche’, di fronte alle quali non si potrà che esultare urlando con veemenza il celebre “mamma li turchi!”. Tra le forme assunte da questo foro, merita una speciale menzione quella ‘a sellino di bicicletta’, chiaramente progettata da una mente sopraffina che, dopo aver studiato la statica dell’appoggio del bacino sul sellino di una due ruote, ha pensato di riprodurne la classica sagoma a trifoglio sul suddetto foro, che così acquista una più convincente aria da water. L’evocazione dello sforzo ciclistico diventa così anche una chiara allusione allo sforzo necessario a liberarsi da ciò che ci blocca interiormente.



Invitiamo l’architetto del foro ‘a sellino di bicicletta’ a produrre esemplari che siano più simili ai sellini da donna, comodi ed ampi, che a quelli delle bici da corsa, la cui forma snella e allungata può provocare qualche spiacevole disguido nella fase di deposizione dei bisogni. Gli esempi d’altronde non mancano, essendo la bicicletta uno dei più usati mezzi di trasporto, ovviamente dopo l’asino-bus.

7. Capre bianco-nere



Bianchi e neri possono convivere pacificamente l’uno accanto all’altro? La pace universale è questione di credo religioso o di principi etici che riposano nel cuore di ciascuno di noi? Paul McCartney e Stevie Wonder ci scrissero in proposito la bellissima ‘Ebony and Ivory’ (‘Ebano e Avorio’). Nel Burkina Faso la risposta a questi interrogativi si trova dipinta sulla pelle di una particolare tipologia di capre, avvistate in prevalenza in territori nordici evidentemente immuni da razzismi leghisti e xenofobi. Sono capre il cui vello è per metà bianco e per l’altra metà nero: due perfette metà che si rispettano a vicenda, senza trascolorare l’una nell’altra. Intervistate dai turisti in visita, le capre hanno belato dicendo che un’armonia simile si trova anche tra le comunità cristiane e musulmane della zona, dove l’imam locale va spesso a pregare con i cristiani e il vescovo con i musulmani. E i turisti bianchi e responsabili riusciranno a trovare tra loro un accordo di pace? La risposta in un casco di banane ecumeniche.

8. Cara, aziona il pipistrello
Macchine e tecnologie allontanano gli umani ricchi del pianeta dalla natura. Chi non ha interruttori per alimentare ventole rinfresca-aria o altri marchingegni elettrici è invece costretto ad intrattenere costantemente un buon rapporto con la natura. Gli abitanti di Tiébélé, per esempio, nel sud del Burkina Faso, hanno costruito un villaggio (la ‘corte reale’) che non è solo un inno alla decorazione geometrica parietale, ma anche un luogo dove sopravvivono tradizioni e credenze che aiutano a vivere in armonia con il mondo circostante. Se ti trovi un pipistrello in casa, per dire, benedici gli spiriti della terra che te l’hanno mandato, perché il pipistrello mangia le zanzare e, col suo incessante sbatter d’ali, è un potente ventilatore: fai a meno della zanzariera, del ‘Malarone’ o del ‘Lariam’ (che parentesi è anche un temuto provocatore di allucinazioni e stati depressivi), e alla fine del mese non ti ritrovi nemmeno la fattura da pagare per l’elettricità consumata dalle pale girevoli sul soffitto.



 



9. Abiti da savana
Il contesto è importante nella vita. Vi verrebbe mai in mente di andare a fare la spesa vestiti come se foste stati invitati alla prima della Scala? Certamente no, perché avete un codice di riferimento, anche per gli abiti da usare a seconda delle occasioni che vi si presentano nel corso della giornata. Nella savana andate vestiti da turisti: pantaloni lunghi, scarpe comode, magliette dai colori chiari. Vorreste avvistare leoni, zebre, scimmie, ma essi non si presentano al vostro sguardo, che è invece attratto da una macchia dai colori vivaci che si muove con un’andatura regale. Sono le tante, tantissime donne su cui si basa l’economia domestica africana, che vanno ad attingere acqua al pozzo o portano sulla testa frutta, riso, miglio, paglia, carote, banane, e ancora pentole impilate una sull’altra, magari reggendo dietro anche un bebé arrotolato in un pezzo di stoffa. Le loro vesti sono tessuti dalle fantasie brillanti, accostamenti audaci di fucsia, rosso, giallo, verde, turchese, talora impreziosite da paillettes sui copricapo. Soltanto per queste pennellate di colore nel monotono paesaggio savanico, queste donne meriterebbero il ‘Nobel per le donne africane’, che una speciale commissione ha richiesto proprio per quest’anno 2011.



Sul gentil sesso, d’altra parte, gli uomini burkinabè si esprimono spesso con parole lusinghiere, per esempio dicendo che le donne “sono le radici dell’umanità” (scultore del legno a Bobo) e che “sono come le formiche: l’unione fa la forza” (guida a Tiebelè). E’ questa anche la vera realtà delle relazioni uomo-donna all’interno delle mura di casa, o meglio di capanna?



 



10. Quote rosa al pozzo



“E’ meglio avere poco e rispettare Dio che possedere una grande fortuna ed essere dominati dall’inquietudine”. Dice così la morale di una storiella africana che vede protagonisti una lepre, una iena e un baobab ‘animato’, nel senso letterale di ‘provvisto di anima’. Chi ha poco rispetta il poco che ha perché senza quell’essenziale davvero non potrebbe vivere. Chi ha troppo, può anche sprecare, buttare, gettare senza scrupoli il superfluo. Chi ha poco sembra inoltre più disposto a ringraziare per tutto ciò che possa facilitare, anche minimamente, le sue condizioni di vita. Così l’occidentale in visita nel continente nero non può che commuoversi di fronte alla gratitudine espressa da chi vede arrivare, grazie agli aiuti economici del mondo ‘sviluppato’, un pozzo di acqua potabile vicino al suo villaggio: le donne salutano con una incredibile danza della gioia piena di saltelli ritmati questo evento che potrà così risparmiare loro 5 km quotidiani, mentre il capo-villaggio ringrazia per il dono dell’acqua, che è la vita: “Che Dio vi protegga, quello che ci avete donato è immenso”. Nel comitato per la gestione del pozzo, per il quale sono stati approntati 3 quaderni distinti tra cassa, colletta e amministrazione, le quote rosa sono garantite: donne e uomini risultano equamente rappresentati (7 e 7).



 



11. Il cielo stellato sopra di me, la legge morale… fuori di me
Kant non l’aveva mai visto il cielo del deserto, ma nella Germania del Settecento forse le stelle di notte si vedevano come a Gandafabou, accampamento di nomadi nell’area semidesertica del Sahel: una calotta nero intenso punteggiata da lumini accesi come quelli che si trovano nei Planetari dei musei della scienza. Quando rifletteva su cosa lo riempisse di ammirazione, Kant diceva una frase che è rimasta uno dei capisaldi del pensiero occidentale: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Gli occidentali ‘turisti responsabili’ in visita in un mondo di cui non conoscono nulla se non poche nozioni di geografia e assistenza all’italiana, sembrano incontrare molte difficoltà a riconoscere leggi morali comuni durante il viaggio, a parte quella di mangiare e godere di buona salute, entrambe imprese piuttosto ardue quando ci si confronta con condizioni igienico-sanitarie assai precarie. Ma il cielo stellato sopra di loro, sotto una soffice coperta di pallini spinosi del deserto, rimane uno dei regali più belli della natura africana: invito a guardare sempre oltre.



 



Appendice 



Piccolo racconto africano tratto dal libro ‘Kowa, Baobab’, dal villaggio di Koirezena



 



Un giorno, un uomo salì sul suo asino e disse a suo figlio di seguirlo a piedi e di ascoltare bene. Presero il cammino per una terra straniera. Sulla strada, trovarono una famiglia che conversava. Essi la salutarono e continuarono il loro cammino. Una persona di questa famiglia disse: “E’ normale? Quest’uomo è sull’asino e suo figlio va a piedi”. Egli disse a suo figlio: “Hai sentito?” Il papà discese e fece salire il figlio. Salutarono un’altra folla che incrociarono. Da questa folla qualcuno fece questa osservazione: “Tu che sei il più vecchio cammini e lasci tuo figlio sull’asino?”. Il padre gli disse di ascoltare e montarono entrambi sull’asino. Più tardi trovarono due donne al pozzo. Una delle due non seppe contenersi: “Voi, due grandi persone su un piccolo asino come questo! Sarebbe meglio che uno montasse e l’altro camminasse, per permettere all’animale di riposarsi”. Il padre disse al figlio di ascoltare bene. Scesero entrambi per liberare l’asino. Camminando, trovarono una folla su un albero. Qualcuno, più loquace, si azzardò a dire: “Questa gente è pazza, hanno un asino e vanno a piedi!”. Disse al figlio di ascoltare quello che dicevano.




Se noi ascoltiamo i consigli di tutte queste persone, cosa dovremo fare?
Bisogna sapere che nella vita tutto quello che facciamo non piacerà mai a tutti.



 

8 commenti:

utente anonimo ha detto...

Scopro adesso questo blog, con le 11 lezioni africane, e dentro la grande distanza da noi, mi incuriosiscono alcune somiglianze puntuali: al punto 1) il "cercine", cioè la ciambella di stoffa che fa da base al carico che si porta in testa, e che si usa(va) anche nelle campagne italiane, e probabilmente non solo. Al punto 5) salutare! Anche nei paesi di molte regioni italiane (non le conosco tutte) è considerata buona educazione, quando si passa davanti ad una porta di casa dove siedono una o più persone, salutare, anche se si è dei perfetti estranei: è una forma di cortesia, perché, in fondo, stiamo passando davanti a casa loro, e siamo stranieri nel loro paese, ma al tempo stesso ci facciamo riconoscere come ospiti, che si comportano come fossero compaesani. Più modernamente, ci si saluta anche, per es., tra escursionisti. 8) Pipistrelli: anche se vivo in una metropoli, ebbene, il mio isolato è fiero di ospitare una colonia di pipistrellini, e infatti nel mio studio, che da sul cortile abitato dai topi volanti, posso tenere la finestra aperta nelle nottate estive. Appendice: la storiella la conoscevo attraverso altre versioni etniche, è sicuramente molto diffusa e gli studiosi delle fiabe e racconti popolari l'avranno schedata con tutto il suo albero genealogico, varianti etc. E per finire: anch'io prima o poi vorrei fare un vero viaggio nell' Africa subsahariana senza essere trattata da turista. Mi rileggo tutto!

utente anonimo ha detto...

Grazie per il commento!
Da dove scrivi?
Sono molto curiosa di tutto ciò che ci rende simili e fratelli anche a distanze siderali di latitudini,
saluti,
Lucia 

utente anonimo ha detto...

Non scrivo da una distanza (ancora) siderale, dato che abito a Roma. Sono capitata sul blog via Benedetta, e infatti vedo che Trieste vi ha accomunate. Vedo pure soltanto ora qual'è il tuo scrittore italiano preferito, anche se si sarebbe potuto capire prima, che è anche il mio italiano contemporaneo preferito, ma ho scoperto che siamo proprio in tanti. Un'altra coincidenza: ma lorenzo c. è il mio amico Lorenzo Conte? No, questa credo di no, anche se la fase sarebbe da lui.
Saluti e al prossimo post,
Paola

ivyphoenix ha detto...

ho messo un pezzettino del tuo libro (tropa roba, gò ridudo come una mata) sul mio blog. Gò anche segnalà il tuo blog alla fine, spero che no te dispiasi.... ciao
http://donotpanichereiam.blog.tiscali.it/2011/01/08/trieste-citta-multilinguistica/
 

utente anonimo ha detto...

Cara Lucia,
leggo a salti l'archivio di questo tuo bellissimo blog e mi dico che sono contenta di aver conosciuto, per giunta in una situazione speciale come il viaggio in Burkina, una persona con la tua sensibilità e intelligenza. Proprio oggi alcune tue citazioni di Celati di alcuni anni fa mi hanno risollevato il morale, ed era un po' come averti vicina e sentir pronunciare quei motti saggi dalla stessa voce che nel Sahel, attorno al fuoco, ci leggeva la storia del Burkina infilandoci battute ironiche con leggerezza.
Molti aspetti del viaggio che hai raccontato sono impressi vividamente anche in me (la lezione 6 su tutte!:P ), ma adesso che già sono passate alcune settimane mi accorgo che anche la lezione 11 ha un suo perché non del tutto scoraggiante, come mi era sembrato allora. Adesso mi sembra che, per quanto svariati siano i contesti e le situazioni che nella vita impediscono di riconoscere leggi morali universali, nondimeno, passandoci attraverso e magari incazzandosi, si scopre che una determinazione altrettanto forte e ostinata abita dentro di noi e si inizia a volersi un po' di bene, non fosse altro che per quello.

Ammiro moltissimo il tuo modo di scrivere, il tuo spirito di osservazione e la tua dolcezza super partes. Io un libro dal titolo "Le Cosmeticomiche" lo comprerei senza esitare. In fondo ho sempre trovato che in Calvino mancasse sempre qualcosa...A volte ci vogliono menti nuove che vadano più in là dei grandi del passato....

Elisa

lucicosmo ha detto...

Cara Elisa,
grazie veramente per le tue parole.
A proposito,
se per caso una piccola o media casa editrice fosse interessata
al progetto 'Lecosmeticomiche',
si faccia sentire! Come vede, qualche lettore
interessato ci potrebbe essere.
Un abbraccio forte da Roma,
Lucia

utente anonimo ha detto...

Sono senza parole, Lucia, eccezionale! Da ora in poi le cosmeticomiche saranno un appuntamento fisso!

Grazie infinitamente!

Samuele (sì, proprio quello, il sedicente "Ministro dell'acqua")

lucicosmo ha detto...

Sedicentissimus normalissimus purissimus levissimus!