mercoledì 19 ottobre 2011

Rivedi con rabbia

Poi è possibile dimenticare, cancellare, lasciare alle spalle.
Ma bastano poche ore per richiamare tutto alla memoria.
Basta accendere la radio e sentire il ministro Maroni che elenca il bollettino di guerra della manifestazione di sabato scorso: insabbiato qualunque tentativo di capire le ragioni dell'indignazione, ciò che conta è la conta dei feriti e del morto mancato e delle forze dell'ordine impiegate per riportare l'ordine, e la 'gestione' dell'ordine, e quante volte viene ripetuta proprio la parola 'gestione', come se ci fosse un'indi-gestione generale che si fa fatica a digerire, come se il Paese fosse un'azienda da gestire, come se il Paese fosse una grande, enorme classe dove è necessario soltanto richiamare l'ordine e la disciplina, perché tutto il resto può anche rimanere sullo sfondo.

Sì, la metafora scolastica forse coglie nel segno. Le voci che 'GR Parlamento' (la 'radio delle istituzioni') trasmette, sono voci di persone che hanno perso la calma, persone che si agitano, alzano la voce, si interrompono di continuo, di continuo si riprendono, si offendono, non lasciano finire i discorsi degli altri. Ma non siamo in una classe. Siamo nel Senato. A un certo punto si sente un deputato dell'Italia dei valori che cerca di ricordare le ragioni degli 'indignati' italiani scesi in piazza sabato scorso, ma non riesce a terminare l'intervento, e quando arriva alla fine, sembra quasi aver perso il fiato e la saliva, come uno che abbia corso inseguito da lupo, e alla fine sia riuscito a trovare un portone in cui rifugiarsi.

Ancora oggi 'GR Parlamento' dalla radio trasmette una discussione su un provvedimento di chiara censura sulle trasmissioni Rai: riguarda filmati e schede che dovrebbero essere vagliate prima di essere mandate in onda, per verificare che non contengano tesi preventive. E di nuovo, qualcuno si alza per parlare apertamente di censura, ma quasi si scusa perché attorno sente che c'è una stanchezza generale, e però, colleghi, lo sapete che noi siamo chiamati qui ad occuparci del Paese, abbiamo un ruolo, un compito che ci spetta, ma attorno si intuiscono sbadigli e rumori e un'atmosfera di generale indifferenza ed apatia che tanto poi chi deve decidere decide, alla faccia della democrazia.

E poi ci si domanda come mai le manifestazioni degenerino in violenza. Come mai alcuni ragazzi un giorno decidano che non c'è più molto da dire. Come mai un malessere che si respira almeno da quel tragico G8 di Genova di 10 anni fa, alla fine dilaghi e non sia più controllabile. Basterebbe questo: chiedersi perché. Non fare soltanto il bilancio attivo o passivo dei numeri. L'economia non basta. Ci vogliono le domande. La riflessione. Una grande, lunga, silenziosa pausa di riflessione. Chiedetevi perché la situazione vi sta sfuggendo di mano, onorevoli e deputati e ministri della Repubblica. Chiedetevi perché giovani capaci ed entusiasti lasciano il Paese. Chiedetevi perché chi dimostra professionalità ma non ha la conoscenza giusta, non ha il papà giusto, non ha i contatti giusti, non ha la testa giusta per seguire questo eterno percorso ad ostacoli che è oggi il mondo del lavoro in Italia, ad un certo punto cede. Chiedetevelo prima che sia troppo tardi.

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