martedì 28 febbraio 2012

A proposito di paradiso

Se penso al paradiso, vorrei che fosse come il Giardino degli Aranci qui a Roma nelle ore pomeridiane, quando gli alberi verdi e i frutti arancioni si stagliano nitidi e perfetti nella luce calda del sole. Il cielo attorno è di un azzurro intenso, carico, senza smagliature, e sembra di stare in un quadro naif.
Poi, appena lo sguardo ritorna a terra, c'è sempre qualcosa che fa stringere il cuore: rifiuti abbandonati, una fontanella troppo generosa d'acqua che ha allagato il terreno circostante, cartelli imbrattati.

Sembra che gli umani si stiano specializzando nel ruolo di deturpatori di bellezza, ed è un peccato. Anzi è forse proprio questo il peccato originale. "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gen 2,15). Coltivare e custodire il paradiso. Così dice il libro della Genesi in uno dei suoi primi capitoli. Prima del peccato originale, l'armonia tra natura, uomo e Dio era totale. Poi si è spezzato qualcosa, ed oggi ancora ne vediamo le conseguenze.

Non c'è nessuno che si prenda davvero cura dei giardini pubblici, piccoli paradisi in una metropoli inquinata ed assordante. Paradiso viene da una parola greca che significa 'giardino', ed è come se noi così non volessimo più abitare i nostri paradisi. Come se ci fossimo talmente abituati, assuefatti all'idea dell'inferno tra noi, da non vedere più la bellezza che ci attornia.

Oggi ho visto un gruppo di ragazzi in un piccolo giardino-oasi del centro. Facevano a gara a chi lanciava una bottiglia di vetro per romperla su un muretto. Finalmente uno ce l'ha fatta. Li ho guardati, ho fatto cenno di no, che non si fa così. Hanno avuto paura e se ne sono andati. Uno però, il lanciatore di bottiglia, si è avvicinato. Aveva gli occhi tristi, drogati, assenti, una sigaretta in mano e non più di 15 anni. Gli ho detto di non farlo più, Roma è già così malconcia, perché rovinarla ulteriormente? E poi qualcuno avrebbe potuto tagliarsi con quei cocci di vetro. Mi ha guardato, è andato a raccogliere un pezzo di bottiglia e l'ha buttata in un cestino. 


Dove sono i tanti disoccupati di cui parlano le statistiche? Perché non impiegarli/ci in massa per riparare/custodire/curare i tanti paradisi perduti delle nostre città? Possibile che non ci sia un'agenzia interinale, un contratto a progetto, un lavoro a chiamata che contempli anche l'incarico (a tempo determinato) di 'restauratore di paradisi'? 

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