lunedì 12 maggio 2014

Gli attendenti

In un tempo che non ama né le attese né i tempi morti né le code,
tant'è che al bancomat siamo pregati di attendere qualche secondo casomai
corressimo il rischio di annoiarci, rallegra che una giovane compagnia di artiste promettenti (LaFabbrica, vincitrice del playFestival 2013) porti in giro nei teatri italiani 'La trilogia dell'attesa': 150 minuti suddivisi in tre quadri di diverse attese che forse sono solo una: l'attesa di un tempo libero da condizionamenti familiari.

Nel primo quadro (Aspettando Nil) una madre invalida, bloccata su una sedia a rotelle, invalida e blocca anche la figlia, eterna bambina. Anche la mamma, in fondo, è una bambina che non è cresciuta ma il suo ruolo di madre le consente di esercitare un potere sulla figlia. Riusciranno le due madri-figlie bambine a trovare l'uomo della loro vita? In questa attesa, fatta anche di improvvisi salti e corse ad ostacoli (l'invalida è in realtà una falsa invalida o invalida immaginaria, come tanti del resto), può capitare di esalare l'ultimo respiro nell'ultima sigaretta, lo sguardo fisso in una smorfia di sorpresa o di terrore per il nulla che arriva. 

Il secondo capitolo (Quando saremo GRANDI!) è un trio di fratelli, due maschi e una femmina coi capelli lunghi e grigi, tutti e tre bloccati anche qui da una madre che tarda ad arrivare. I bambini-vecchi, pigolanti e mugolanti come gallinelle o cagnolini incapaci di esprimersi se non a versi, sono lì ad aspettare imprigionati in un divieto che non li fa uscire fuori da un ristretto recinto d'azione. Fuori è sempre un problema. Dentro si può ancora giocare. 

Chiude la trilogia una fiaba. Hansel e Gretel (i due bambini abbandonati nel bosco dal padre e dalla matrigna che non li possono mantenere, secondo la versione dei fratelli Grimm) son diventati obesi a furia di mangiare i dolci e il marzapane della casa dove abita la vecchia strega. E aspettano. Aspettano che arrivi il padre che dia loro una conferma di quanto son stati bravi.

L'eterna attesa di madri-padri come li vorremmo (e non possono essere) e la continua sospensione al giudizio genitoriale, impediscono la crescita e la trasformazione del bambino in adulto.
Una società-bambina ci circonda. Tutti ne siamo parte. Quando saremo grandi? A teatro - il Vascello a Roma la settimana scorsa - la domanda si condivide con gli attori, tutti bravissimi, e con il pubblico in sala: divertito, partecipe, un po' assonnato verso lo scoccare dei 150 minuti ma felice di constatare che nessuno schermo riuscirà mai a sostituire la bellezza e la vitalità di un palcoscenico. 

Nessun commento: