sabato 12 gennaio 2019

Buongiorno sognatori

Caro/a Eden che ti chiami come il Paradiso, l’anno si è aperto in tua compagnia: sul treno Venezia-Roma te ne stavi lì, abbandonato dove stanno i giornali da treno. Superbo, splendente, pieno di fiori rosso-arancio. Non si sbircia mai nei diari degli altri, ma scusami, ho ceduto alla tentazione e ti ho letto. Un’aria leggera di giovane turista americano in visita, 20 anni appena compiuti a Firenze, dove stavi seguendo un corso di lingua e cultura italiana. Meraviglia, stupore, sovreccitazione nel girare per le strade della città che esiliò Dante e attraverso quella immensa sofferenza gli permise di scrivere un capolavoro mondiale come la “Divina Commedia”. Ammirazione e gioia per piccoli gioiellini medievali come Siena e San Gimignano. Una pagina con il disegno di una finestra aperta sul cielo toscano. Quella grande bellezza che ancora attrae nel nostro Paese frotte di turisti innamorati dell’arte e del cibo made in Italy.

E allora, siccome ti ho incontrato, è a te che dedico queste righe. Magari riuscirai a comprenderle, o forse no. A proposito, ti chiami Eden, e non saprei se nel tuo mondo Eden è un lui o un lei. Ma la questione non è così appassionante, e mi rivolgerò a te proprio come ci si rivolgerebbe al Paradiso. Non c’è occasione più ghiotta che scrivere ad un diario abbandonato che si chiama Paradiso: un giardino di delizie, in origine, un luogo dove c’è armonia, bellezza, e quella cosa strana a cui tutti aspirano che si chiama felicità. Lo sai che esiste persino la repubblica di Felicizia? Ne ha parlato il nostro Presidente nel discorso di fine anno, dopo aver ben spiegato che cosa significa un’altra parola tanto abusata in questi tempi: sicurezza. La possibilità di vivere assieme rispettandoci ed accogliendoci tutti in quanto esseri umani. Senza paura delle diversità. Senza trasformare tutti gli stranieri in potenziali nemici da cui difenderci. Qualche anno fa ho scritto un breve “Elogio dell’insicurezza” che parlava in fondo un po’ di questo. Mi sembrava di avvertire già dei segnali di intolleranza che in questi ultimi tempi sono diventati urli di sirene, grida violente, contrapposizioni brutali che sembrano aver perso il senso della realtà. E ci stanno dividendo tra noi.

Siamo stati capaci di dividerci persino sulla vicenda di 49 disperati, abbandonati in mare per quasi 20 giorni nel gelo, nelle notti insonni per la forza delle onde. Donne, bambini, ragazzi dalla pelle scura. Uomini. Un continuo rimpallo di responsabilità, la chiusura netta e perentoria dei nostri porti per una chiusura netta e perentoria del cuore, della mente, di tutto ciò che ci rende ancora intimamente umani. In nome di un “popolo sovrano”, di un pugno di voti, di una serie di pericolose alleanze. Il gioco dei potenti di sempre: Erode aveva dato la parola. Consegnaci la testa del Battista, questo l’ordine della madre ad una figlia succube. Ed Erode esegue perché si era impegnato davanti al pubblico dei suoi adulatori. Della sua corte di servitori. Un dubbio gli sfiora la coscienza, un pericoloso perché lo disturba per qualche secondo come un'ape fastidiosa ma deve eseguire perché altrimenti non lo voteranno più. Lo accuseranno di aver detto una cosa e di averne fatta un’altra. Quante altre volte nella storia si sono consumate tragedie perché nessuno ha avuto il coraggio di dire no. Perché la coscienza, come osservò Hannah Arendt durante il processo al gerarca nazista Eichmann, era stata totalmente oscurata. E al primo posto c’era un comando da eseguire. La banalità del male. La totale mancanza di empatia con l’altro. E di sintonia con le proprie corde interiori. In nome di un ordine superiore che dà sicurezza alla nostra vita e al nostro ruolo sociale.

Mentre scrivo, caro Eden, mi accorgo che volevo parlare di paradiso e ho finito per parlare di inferno. E ho pure titolato questo pezzetto “Buongiorno sognatori”. Ma lo sottoscrivo ancora. Una marea di transfughi, profughi, emigranti, fuggitivi, esuli, sognatori, ha popolato ed arricchito tutti i Paesi del mondo, da Venezia agli Stati Uniti, dalla Russia a Riace, Calabria. Chi fuggiva dai “barbari”, chi dalle persecuzioni religiose, chi dalle dittature, chi semplicemente sognava un futuro migliore. Centinaia di ragazzi abbandonano l’Italia per studiare o lavorare all’estero. Sognano qualcosa di meglio di quello che offre il loro Paese a chi ha studiato tanto e spesso non trova luoghi di lavoro adeguati al livello della propria preparazione. Il sogno di un futuro più bello è un sacrosanto diritto di ogni creatura umana. Non è chiudendo i porti che si possono chiudere anche i sogni. Concordi con me? Tu, poi, ti sei sobbarcato 30 ore di viaggio per arrivare in Italia, e puoi capire di cosa parlo.

In attesa di avere una tua risposta, trovo conforto in un libro: “Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza”. L’autore è Carlo Rovelli, un fisico teorico che come molti veri scienziati non è chiuso in dogma o in un pensiero unico, ma sa guardare il mondo con occhi aperti e capaci di mettersi in discussione. Racconta di essersi trovato ad entrare in una moschea in Africa, dove vige la regola di essere scalzi per rispetto del luogo sacro. Si sentiva straniero come un bianco si può sentire straniero nel cuore dell’Africa. E pure osservato perché scalzo ma con le scarpe in mano. In realtà in una moschea le scarpe non si devono proprio vedere, ma non per questo gli chiudono la porta in faccia gridandogli qualcosa di brutto. Un anziano prenderà le sue scarpe, le metterà in un sacchetto di plastica scura e gliele riconsegnerà sorridendo. “Sono senza parole – scrive l’autore –, esistono posti al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza”.

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