E
allora, siccome ti ho incontrato, è a te che dedico queste righe. Magari
riuscirai a comprenderle, o forse no. A proposito, ti chiami Eden, e non saprei
se nel tuo mondo Eden è un lui o un lei. Ma la questione non è così appassionante,
e mi rivolgerò a te proprio come ci si rivolgerebbe al Paradiso. Non c’è
occasione più ghiotta che scrivere ad un diario abbandonato che si chiama
Paradiso: un giardino di delizie, in origine, un luogo dove c’è armonia,
bellezza, e quella cosa strana a cui tutti aspirano che si chiama felicità. Lo sai che esiste persino la repubblica di
Felicizia? Ne ha parlato il nostro Presidente nel discorso di fine anno, dopo
aver ben spiegato che cosa significa un’altra parola tanto abusata in questi tempi: sicurezza. La possibilità di vivere assieme rispettandoci ed
accogliendoci tutti in quanto esseri umani. Senza paura delle diversità. Senza
trasformare tutti gli stranieri in potenziali nemici da cui
difenderci. Qualche anno fa ho scritto un breve “Elogio
dell’insicurezza” che parlava in fondo un po’ di questo. Mi sembrava di
avvertire già dei segnali di intolleranza che in questi ultimi tempi sono
diventati urli di sirene, grida violente, contrapposizioni brutali che sembrano
aver perso il senso della realtà. E ci stanno dividendo tra noi.
Siamo
stati capaci di dividerci persino sulla vicenda di 49 disperati, abbandonati in
mare per quasi 20 giorni nel gelo, nelle notti insonni per la forza delle onde.
Donne, bambini, ragazzi dalla pelle scura. Uomini. Un continuo rimpallo
di responsabilità, la chiusura netta e perentoria dei nostri porti per una chiusura
netta e perentoria del cuore, della mente, di tutto ciò che ci rende ancora
intimamente umani. In nome di un “popolo sovrano”, di un pugno di voti, di una
serie di pericolose alleanze. Il gioco dei potenti di sempre: Erode aveva dato
la parola. Consegnaci la testa del Battista, questo l’ordine della madre ad una
figlia succube. Ed Erode esegue perché si era impegnato davanti al pubblico dei
suoi adulatori. Della sua corte di servitori. Un dubbio gli sfiora la
coscienza, un pericoloso perché lo disturba per qualche secondo come un'ape fastidiosa ma deve
eseguire perché altrimenti non lo voteranno più. Lo accuseranno di aver detto
una cosa e di averne fatta un’altra. Quante altre volte nella storia si sono
consumate tragedie perché nessuno ha avuto il coraggio di dire no. Perché la coscienza,
come osservò Hannah Arendt durante il processo al gerarca nazista Eichmann, era
stata totalmente oscurata. E al primo posto c’era un comando da eseguire. La
banalità del male. La totale mancanza di empatia con l’altro. E di sintonia con le proprie corde interiori. In nome di un ordine superiore che dà sicurezza alla nostra vita e al nostro ruolo sociale.
Mentre
scrivo, caro Eden, mi accorgo che volevo parlare di paradiso e ho finito per
parlare di inferno. E ho pure titolato questo pezzetto “Buongiorno sognatori”. Ma
lo sottoscrivo ancora. Una marea di transfughi, profughi, emigranti, fuggitivi, esuli, sognatori, ha popolato ed arricchito tutti i Paesi del mondo, da Venezia agli Stati Uniti, dalla Russia a Riace, Calabria.
Chi fuggiva dai “barbari”, chi dalle persecuzioni religiose, chi dalle
dittature, chi semplicemente sognava un futuro migliore. Centinaia di ragazzi abbandonano
l’Italia per studiare o lavorare all’estero. Sognano qualcosa di meglio di
quello che offre il loro Paese a chi ha studiato tanto e spesso non trova
luoghi di lavoro adeguati al livello della propria preparazione. Il sogno di un
futuro più bello è un sacrosanto diritto di ogni creatura umana. Non è chiudendo
i porti che si possono chiudere anche i sogni. Concordi con me? Tu, poi, ti sei
sobbarcato 30 ore di viaggio per arrivare in Italia, e puoi capire di cosa parlo.
In
attesa di avere una tua risposta, trovo conforto in un libro: “Ci sono luoghi
al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza”. L’autore è Carlo
Rovelli, un fisico teorico che come molti veri scienziati non è chiuso in dogma
o in un pensiero unico, ma sa guardare il mondo con occhi aperti e capaci di
mettersi in discussione. Racconta di essersi trovato ad entrare in una moschea
in Africa, dove vige la regola di essere scalzi per rispetto del luogo sacro. Si
sentiva straniero come un bianco si può sentire straniero nel cuore dell’Africa.
E pure osservato perché scalzo ma con le scarpe in mano. In realtà in una
moschea le scarpe non si devono proprio vedere, ma non per questo gli chiudono
la porta in faccia gridandogli qualcosa di brutto. Un anziano prenderà le sue
scarpe, le metterà in un sacchetto di plastica scura e gliele riconsegnerà
sorridendo. “Sono senza parole – scrive l’autore –, esistono posti al mondo
dove più che le regole è importante la gentilezza”.
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