sabato 15 giugno 2019

Area di ristoro per umani


“Area cani”, spiega il cartello fuori dal parco, che ospita anche un piccolo monumento al cane ignoto, con tanto di coccarda tricolore al collo. E dov’è l’area umani? L’oasi di ristoro per umani accaldati e stanchi?

E’ qui, attorno a te che ti aggiri nella calura della metropoli più bella del mondo: Roma. Roma vituperata, bistrattata, calpestata, insozzata, calunniata, abbandonata, pigiata nei bus stracolmi. Ma pur sempre Roma città eterna di una eterna bellezza. Bellezza di monumenti ed edifici, come osservano i turisti argentini ai quali si illumina lo sguardo a parlare di questa stratificazione di storia presente ad ogni strada del centro. Ma soprattutto bellezza e splendore di umanità. A cui abbeverarsi quando ci si sente aridi e deserti.

Nel centro più centro della città alle 7.30 del mattino un piccolo gruppetto di donne staziona fuori da un portone. E’ il palazzo che ospita un rinomato centro di cura e prevenzione dei tumori al seno, dove si può venire a fare un check-up di esami ad un prezzo modico e, soprattutto, senza prenotazione previa. Unica indicazione: presentarsi al più presto, e infatti le prime arrivano qui anche alle 6.30-7, dopo essersi alzate alle 4. Già fuori dal portone un po’ ci si conosce, si scambiano due parole, il clima è familiare e soprattutto solidale, come sempre quando c’è di mezzo la salute. Una volta entrate, la sala d’attesa è animata dalla presenza di un televisore acceso su Raiuno: le notizie del Tg e poi Unomattina. Il salottino da noi, e il salottino da loro, ma il nostro è decisamente più divertente e confortante. Perché basta allungare l’orecchio e si possono sentire chicche simili: “Io, signora, guardi, vedo che ridere è la salvezza, nella vita ci vuole leggerezza, ho superato i 60 anni, sono stata femminista, ma che pesantezza! Invece sa adesso cosa penso? Mi alzo ogni mattina alle 4 e dico che sono fortunata ad alzarmi per andare a lavorare, visto che c’è gente che neppure riesce ad alzarsi. E poi sento gli uccellini e, siccome anch’io faccio i miei rumori, dico che siamo tutti parte di una stessa orchestra.” Per me queste parole valgono più di qualunque visita. Me ne potrei anche andare felice e soddisfatta senza alcuna mammografia di rito.

Nel bar a distanza di pochi metri, spremuta d’arancia e cornetto, mentre l’usuale orecchio sinfonico che si sintonizza sulle orchestre esterne capta parole interessanti. Il barista dice che lui non ne sente il bisogno, l’avventore che addenta il cornetto dice che non è tanto questione di sentire, quanto di volontà. Discorsi da teologia spinta. Infatti mi giro e chi parla è un prete, impegnato a convincere il barista che confessarsi non è questione di sentimento ma di decisione interiore, di volontà. Ed è lì che mi viene spontaneo intervenire, perché qua o a un certo punto ci si innamora e quindi le cose si sentono con il cuore, anche in fatto di fede, oppure possiamo diventare un esercito di gente che bacia rosari e chiude i porti. Si dichiara cattolica e non è capace di empatia profonda. Brandisce simboli religiosi ed è impermeabile alla sofferenza altrui. Entiendes? A questo punto il barista racconta la bellissima storia del suo nome: Salvatore, così chiamato perché davvero salvato dal passaggio della statua del Salvatore in un piccolo paese della Sicilia durante la festa del patrono. Ora ci vogliamo buttare a mare perché Salvatore non sente più il bisogno di confessarsi? Via, amico prete, pensiamo alto. E altro.

In alto, fuori da una chiesa, un cartello chiaro all’ingresso: “Facemo bene mo’ che c’avemo tempo”. Beatitudini riportate una ad una a caratteri ben leggibili, tanto per ricordarsi quale sarebbe la nostra carta d’identità: mitezza, amore per i nemici, l’impossibile conciliazione tra Dio e denaro, l’ipocrisia del giudizio sugli altri mentre ci si ritiene sempre perfetti e intoccabili, la predilezione per gli ultimi. Un bel programmetto di vita che, a seguirlo sempre, porterebbe tutti dritto in paradiso già su questa terra.

Fuori dall’area sacra di Largo Torre Argentina, dove hanno fatto fuori Cesare e oggi prolifera una nutrita colonia felina, un signore con ampia pancia che deborda fuori dalla camicetta è spiaggiato con accanto il suo gatto trovatello nella gabbietta. Tipico esemplare di “barbone” romano con storia illustre alle spalle: era amico di Ruggero Orlando e Claudio Villa, ed ora dice di essere impegnato in associazioni che lavorano per gli orfani e per gli anziani. Dalla bocca sdentata un complimento: che bel vestito, dove l’hai preso? Sarebbe perfetto per una mia amica 70enne! 
Benedetta Roma, oasi di ristoro di varia, variopinta e variegata umanità.


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