Dunque si può fare. E’ possibile. Anche in tempo di pandemia. Anche nell’estremo Nord-Est non sempre social-friendly, per parlare diplomatico. Si può convivere tra animali ed umani su uno stesso moletto proteso nel mare. A destra una riserva marina protetta, abitata da cormorani neri come tizzoni e colonie di germani; a sinistra una riserva umana, anch’essa protetta. Ma senza cartello. Umani che per qualche ora si proteggono dalle brutte notizie, dai pessimismi diventati habitus mentali, dai catastrofisti e pure dai complottisti del virus. Ce ne sono ancora in giro, racconta la signora che lavora “in psichiatria” e sarà per questo che sembra così aperta e predisposta al dialogo: quando lavori regolarmente con la mente umana considerata scarto alla regola, non puoi che sviluppare massima tolleranza ed apertura nei confronti del tuo prossimo.
Mezzi
bagnati dal mare che va e viene sul molo semiaffondato, con i cormorani che
vigilano seri e compassati sugli scogli della riserva marina di fronte, ci si
tuffa nel dialogo. Nella conversazione che genera vita. La libertà, il lavoro,
il senso di comunità e di collettività che sta scomparendo, osserva la signora:
dobbiamo essere responsabili gli uni degli altri, e poi la libertà – per rispondere
a chi pensa ancora che la mascherina ne sia un’odiosa limitazione – non è forse
una condizione prima di tutto interiore? Essere liberi dentro, è questo che
conta. Non metterci le catene da soli. Non schiavizzarci a furia di star dietro
a cellulari, schermi, diktat del così fan tutti e guai a chi resta indietro.
Sono più libero senza mascherina ma con licenza di uccidere anche solo con le
parole, o posso essere tranquillamente libero anche con la mascherina ma
attento a te che mi parli?
Libertà andiamo cercando, e attorno a noi ce n’è in abbondanza, prima di tutto nella contemplazione della beatitudine di questo piccolo spazio di “cemento libero” dove si riesce a convivere civilmente tutti assieme: la signora psichiatrica, il labrador nero Maya di 11 anni (i cani sono naturale elemento di socializzazione tra umani, ed è significativo che solo del cane alla fine si riesca a sapere il nome), il barboncino isterico (femmina anch’essa e sempre in attacco della labrador Maya: usuali dinamiche tra donne) e la sua abbronzatissima padrona in topless nordestico; i tedeschi in vacanza, una madre e una figlia, un padre e una figlia, il fustacchione color nero cormorano che ha avuto subito, appena arrivato, il via libera per lo scoglio gentilmente concesso dalla vecchia che gestisce, per regole interne della tribù balneare, l’intero appezzamento di cemento.
E’
lei che squadra chiunque metta piede sul moletto libero: pelle di pollo arrosto
ruspante, occhio vigile, sguardo a terra vago e sprezzante se non si è ammessi,
lasciapassare immediato se si è riconosciuti subito come parte della tribù (“la
se pol meter là, lo scoglio è libero”). E il fustacchione ce l’ha subito il lasciapassare,
anche se appena si sistema e fa il bagno, si scuote l’acqua dai capelli più
furiosamente del labrador Maya, e si accende due sigarette di seguito. Ma la
vecchia vigila e non sanziona. Mentre fa cenno di no con la mano ad un altro
tedesco che si è appollaiato sullo scoglio della riserva marina e forse avrebbe
intenzione di fare un bagno. Non c’è un vero e chiaro confine tra moletto
libero e riserva marina; non è come al 'Pedocin', dove c’è addirittura un muro
tra uomini e donne. Qui no, qui le regole si sanno per esperienza, e la
ragazzina che sconfina nel mare apparentemente libero viene subito richiamata
all’ordine. "Ma come si fa a non sapere che lì non si può?" Se pol, se pol.
I germani si accostano ai bagnanti, i cormorani danno le spalle quasi sprezzanti, e qualche medusa crea un microscopico panico nei presenti Ma tutto rientra velocemente nei ranghi. E quando si va via ci si sente felici di aver fatto parte per qualche ora di una comunità improvvisata, a pelo d’acqua (e di cani). A due passi da un’oasi marina.
Questo sì che ti riconcilia con la vita e con il ritorno in patria.
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