lunedì 21 aprile 2025
Ciao, Francesco

sabato 8 marzo 2025
La cosa bella
La cosa bella del treno è che va da solo. E tu ti lasci cullare. Ascolti, guardi, scrivi, mentre tutto attorno è in movimento. La storia in movimento, proprio come il titolo del manuale di scuola che va dal Medioevo all'età contemporanea.
Siamo davvero tutti in movimento, anche chi pensa di essersi ormai fossilizzato in una sola postura. Basta mettersi in viaggio. E tutto
cammina. Ora il verde tra Lazio e Umbria, forse valle reatina. E pecore placide a
brucare. Viaggiare per ritrovare il mondo diventato solo schermo televisivo da qualche
anno. O solo formato città asburgica.
E invece c'è tanto mondo vario, variopinto, e tanto tanto cielo blu
mediterraneo da bere ogni mattino al posto di un integratore.
Vent'anni cosmeticomici in cui siamo tutti cresciuti e approdati ad una nuova stagione di cellulari onnipresenti e pervasivi. Telefoni che non suonano più ma scrivono da soli. Rapporti umani da coltivare sempre ma a volte ridotti a messaggini da leggere. Cose leggere e vaganti, al limite dell'inconsistenza. Giusto per dire che ci siamo ancora. Nostalgia per chi ti "viene a cercare perché a te ci tiene, per gridarti io ti voglio bene". (Ragazzini per strada, sempre citazione jovanottica, ndr).
(scritto su un Frecciarossa - partito rigorosamente con 5 minuti di ritardo - martedì scorso, 4 marzo 2025)

sabato 26 ottobre 2024
Ci volevi tu,
Le Frecce tricolori hanno da poco solcato un cielo di nuvole e grigio. Ieri due aerei rombanti avevano fatto le prove senza colori nella tarda mattinata, e molti di noi a scuola avevano avuto brutti pensieri. Venti di guerra, esercitazioni militari, preghiamo in tutte le lingue che conosciamo. Possibile che, con tutto il progresso e le intelligenze artificiali che abbiamo, non riusciamo a far tacere le armi? Meno male che c’è l’arte. Simone Cristicchi con la sua chioma arruffata da menestrello dei nostri tempi, profondo e leggero come sanno esserlo solo i veri artisti innamorati della bellezza.
E questa è una lettera aperta a te, Simone. Per ringraziarti. Solo tu sei stato in grado in questi anni di fare il cantastorie di una città dal passato così drammatico come poche in Italia. Una città “diversa da tutte le altre”, hai detto oggi, offrendo in un’ora di spettacolo una sintesi che sarebbe stato impossibile affidare ad un triestino o a qualcuno che abbia vissuto sulla propria pelle anche solo un pezzetto delle tragedie che hanno segnato queste zone di confine. Chiamiamole “frontiere”, hai proposto, più umane, meno rigide, meno segnate con il righello puntiglioso dei “trattati” che finiscono per “trattare male” chi poi dovrà vivere in quelle terre divise. Perché questo è toccato alla città di Saba dalla “scontrosa grazia”: essere divisa, zona A, B, con quelle prime lettere dell’alfabeto che poi ritornano nel “capo in B” e nella squadra di calcio che retrocede.
Dieci anni fa hai raccontato il “Magazzino 18” e il dramma dell’esodo e delle foibe. E lo ricordo il Teatro Rossetti anche quella sera. Ricordo l’emozione, gli applausi e le persone in piedi. Ma ricordo anche i commenti malevoli, quasi sprezzanti, che avevano preceduto la tua esibizione. Cosa ne saprà questo romano centro-italico di ciò che abbiamo vissuto qui? Con che coraggio questo “foresto” si mette a parlare delle nostre zone? E invece alla fine standing ovation, lacrime, quella catarsi capace di far riconciliare con la memoria di un passato che a volte sembra non passare mai.
Per questo continuo a pensare che anche il racconto che abbiamo ascoltato oggi a teatro, preciso nella sua ricostruzione storica quanto lieve nello stile, l’hai potuto fare solo tu. Anche osando il romanesco dell’archivista Persichetti che dialoga con sua moglie. Tu che in questi luoghi non ci vivi e che dentro ti porti una distanza. La giusta distanza per non farti invischiare nelle polemiche e nelle strumentalizzazioni politiche che non riusciranno mai a raccontare davvero lo storia com’è stata.
E invece lì, in quell’ora sul palco, tu questa storia l’hai raccontata al meglio: Trieste un’identità di frontiera, Trieste di bora e di caffè che si capiscono solo qui, e di parole che vogliono dire l’opposto di quello che ci si aspetta, come “volentieri”. E poi la storia di quel ’45 che per Trieste non segnò la fine della guerra ma l’inizio di una nuova occupazione durata quasi 10 anni. Ti sei coraggiosamente addentrato nelle pieghe più incomprensibili e pure sconosciute di quei giorni. In quel groviglio di dettagli e di contrapposizioni che creano sgomento in chiunque si trovi alle prese con la spiegazione di quelle difficili, complesse pagine di storia. E mentre tu raccontavi, la musica dell’Orchestra Teatro Verdi di Trieste e il Coro del Friuli Venezia Giulia, a sottolineare con grazia le parole e le immagini della grande, incontenibile gioia che accompagnò quel 26 ottobre del 1954: giorno del ritorno di Trieste all’Italia. O meglio, hai specificato, alla libertà.
Potenza dell’arte che libera. Libera la memoria, libera il cuore, fa volare alto. Grazie, Simone. Vorremmo regalarti tutte le rose del mondo per la persona che sei. Perché hai unito tutto, integrandolo in un grande racconto liberatorio: Franco Basaglia, Marco Cavallo e i “matti” che avevi cantato anche tu nel 2007 vincendo Sanremo; la Storia e le storie di sofferenze difficili da immaginare per chi non c’era; la gioia che oggi forse si respira poco ma che invece c’è stata. E, come tutte le gioie che arrivano dopo un dolore intenso, ci ha fatto commuovere un po’ tutti. E ritrovare assieme anche dopo il teatro.

giovedì 18 luglio 2024
Giorni perfetti
In fila per papa Francesco. In fila per vedere Wim Wenders e il suo “Perfect Days”. Sono davvero “giorni perfetti” i nostri. Giorni perfetti per parlare di pace. Per non arrendersi alla guerra, per bandire questa parola dai nostri dizionari.
Passando da piazza Unità in
questi giorni accaldati sembra che non sia successo nulla. Tutto come prima, la
fontana al suo posto e i palazzi della più bella piazza affacciata sul mare lì,
fermi, immobili. Ma i luoghi parlano non solo di ciò che vediamo, di ciò che è
lì stabile e immutabile, ma anche di ciò che quei luoghi hanno visto e che si è
impresso dentro di noi.
Così, anche se è passata più
di una settimana dalla visita del papa nella nostra città, il desiderio di
scrivere e ricordare è rimasto qui, nel cuore, seppure un po’ annebbiato dal
sole e dal caldo. Quello stesso sole che a un certo punto, nell’omelia del papa
gli ha annebbiato la vista e ha fatto scattare un applauso di solidarietà.
Miracoli della vita e di
questa estate triestina: non arrivano solo lo sport, i concerti, l’elogio della
scienza e della tecnologia nella Trieste laica ed asburgica che attrae sempre
più turisti. Arriva un Papa. E che Papa. Ce lo ricorderemo per sempre quel
giorno. Prima una lunga fila, lunghissima, un serpentone inedito che si è
formato almeno fin dalle 7.30 del mattino nelle vie limitrofe alla piazza, attesta
un’amica scesa di buon’ora per assicurare il posto anche a tutto il resto del
gruppo. La messa inizierà alle 10.30 ma dai varchi si può entrare fino alle 9.
E noi siamo lì, tranquilli, in fila, e la città così in fermento alle 8.30 del
mattino di una domenica di luglio chi l’aveva mai vista?
Bello ritrovare nell’attesa
qualche vecchia conoscenza dei tempi che furono, bello scambiare due
chiacchiere e una bottiglietta di acqua ghiacciata. Siamo lì per farci
riscaldare il cuore, per vedere questo grande, saggio anziano, guida spirituale
che riluce come perla preziosa, ha detto un’altra cara anziana. Perché stiamo
per ritrovarci in piazza tutti assieme: tutte le età, migliaia di persone che
si sono date appuntamento sotto il sole cocente perché abbiamo bisogno di
sentire parole di incoraggiamento, di pace, di bellezza, di riconciliazione.
Abbiamo bisogno di non sentirci soli in questo desiderio di un mondo che
respiri, che abbia speranza e non si scoraggi, non si lasci abbattere dal nero
dei pessimismi e delle sirene di sventura.
Per questo anche nei giorni
che precedono il 7 luglio, data della storica visita a Trieste di Francesco, ho
voluto prendermi il tempo per girare tra gli stand della Settimana sociale dei
cattolici. Tanti i messaggi rincuoranti già all’interno dei gazebo, come
questo, che ho scolpito nel cuore: “Non esistono ragazzi cattivi” (Associazione
Kayros di don Claudio Burgio); e poi “I ragazzi non sono vasi da riempire, ma
cuori da accendere”, frase di Plutarco che risuona nello stesso stand per
l’associazione Portofranco, centro di aiuto allo studio che sa guardare alle
difficoltà dei giovani non come emergenza sociale ma come occasione per far
risplendere luci nella nebbia della dispersione scolastica. E ancora i
deliziosi dolcetti allo zenzero e limone di “Cotti in fragranza”, laboratorio
di prodotti da forno nato nel 2016 all’interno del carcere minorile Malaspina
di Palermo.
Il 3 luglio, giorno di
apertura della Settimana sociale, abbiamo seguito da casa gli interventi
inaugurali del presidente Mattarella e del cardinale Zuppi: che volti
meravigliosi, che umanità rinfrancante, che parole tutte da trascrivere sul
fedele quadernetto degli appunti. Vorrei scrivere tutto, non dimenticare nulla.
“Superare la logica della rassegnazione”,
dicono alcuni giovani siciliani in apertura.
E poi il focus su Trieste, città di confine segnata da ferite profonde:
ma “non vogliamo che i confini siano muri, o peggio trincee, ma ponti e
cerniere”, dice Zuppi, uomo che esprime bontà da ogni poro del suo viso. E noi
abbiamo bisogno di sentircelo dire proprio qui, in questa città che ha fatto
parlare di sé per la vicenda dei migranti costretti a vivere a pochi metri da
un Silos nato per far parcheggiare auto, e diventato negli anni disumano parcheggio
di esseri umani invisibili, problema da non risolvere, da dimenticare, da
lasciare lì, a marcire nel putrido.
Le parole sono pietre ma
possono anche essere consolazione, balsamo che scalda il cuore. Anche in questo
momento di grande angoscia per tutto ciò che ci circonda: guerre, ingiustizie,
violenze all’ordine del giorno. Zuppi ricorda anche la tragica vicenda di Satnam
Singh che sognava il futuro, vittima del caporalato e della disumanità. “Oggi
la democrazia soffre perché la società è attraversata da tensioni amico-nemico,
mentre è solo nella relazione che ciascuno comprende il suo valore”. Una lectio magistralis sulla democrazia
arriverà qualche minuto più tardi nelle parole del presidente Mattarella,
rimbalzate il giorno dopo in tutti i notiziari: “Occorre attenzione per distinguere tra il parteggiare e il
partecipare”, e ancora “la democrazia non è mai conquistata per sempre”, perché
dietro questa parola, o forse meglio dentro questa parola ci siamo noi, tutti
noi: io che ora scrivo, voi che vi state prendendo del tempo per leggere. Tutti
noi siamo inclusi e siamo coinvolti, facendo ognuno del suo meglio.
Un po’ come il protagonista di
“Perfect Days” di Wim Wenders: un uomo che ogni giorno pulisce i bagni pubblici
di Tokyo con tutta la dedizione di cui è capace, felice di essere ciò che è,
nella semplicità e nella solidità di una vita che non rincorre stress e
arricchimenti superflui, “così felice di esser nato”, avrebbe cantato Riccardo
Cocciante. E come per miracolo in questi giorni perfetti a Trieste tutto si è
incrociato ed incontrato: il film di Wenders riproposto al Giardino pubblico
con tanto di fila chilometrica, uno spettacolare concerto gratuito con le voci
di Cocciante, Roberto Vecchioni, Simone Cristicchi, Amara, Mr.Rain e
Tiromancino, e infine persino papa Francesco in quella stessa piazza prima
gremita di sedie e poi della più varia umanità.
E si vorrebbe scrivere e
trascrivere tutto, e raccontare per testimoniare e dire che non ci sono solo
nubi nere in questo nostro tempo. Ma anche tanto bene, tanta commozione, tanto
desiderio di ritrovarsi assieme non sui social ma dal vivo, seduti lì, tutti in
piazza in una fantastica sera di luglio ad ascoltare musica “Al cuore della
democrazia”, o in quell’indimenticabile domenica piena di sole e di azzurro ad
ascoltare questo papa profetico e così umano. Così vicino al cuore di ognuno di
noi, che si proclami credente o meno.
Ed è questa forse la vera
vacanza: lasciare il vacuum, il
vuoto, lo spazio libero per accogliere bellezza. Vacanza che sa vagare, che sa
essere vuota di tutto ciò che a volte sembra essere oggettivamente troppo, tra
lavoro e insaziabili quantità di messaggi che affannano e appesantiscono
l’anima. Povere creature che credevano, con la tecnologia, di guadagnare tempo
per sé e invece, lentamente, sono state risucchiate dalla stessa tecnologia,
scambiata per una nuova divinità che tutto stabilisce e tutto crea.
E così, mentre pochi di voi
sono riusciti ad arrivare fin qui perché il pezzo è oggettivamente lungo e
risente della mancanza di un limite dettato dalle battute di una pagina di
giornale, arriviamo alla domenica papale. E a questa figurina bianca che
attraversa i corridoi della piazza mentre noi ci spostiamo a destra e sinistra
per vedere dove riusciremo ad incrociare il suo sguardo, magari per gridargli,
come un gruppo di ragazzi: “Ola chico!
Ti vogliamo bene!”.
Ritrovare “l’infinito nell’umiltà”.
Ritrovare Umberto Saba e la sua stupenda “Città vecchia”, che risuona in modo
così perfetto e semplice nell’omelia di questo papa argentino, gesuita e
francescano al tempo stesso: ritrovare l’infinito negli “scarti” dell’umanità,
negli emarginati, negli esclusi di sempre, tra periferie e disagio esistenziale.
Sentire l’incoraggiamento a tutta la chiesa triestina, sentire gli applausi
quando Francesco cita la rotta balcanica e la necessità di non scartare
nessuno. Lasciarsi abbracciare da questa voce sommessa, mite, di un papa buono
che vuole solo dire bene. Benedire. Ecco, grazie Francesco, sei stato una
grande benedizione per tutti noi e siamo stati felici di accoglierti qui, in
questo angolo di estremo Nord-Est di cui tu hai voluto ricordare la storia e la
grande vocazione: “Da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia
di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova
civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità”.
Sogniamo che queste parole
raggiungano tutti, potenti della terra che ancora si trastullano nell’inutile e
folle gioco della guerra e della contrapposizione a tutti i costi.
“Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere
come fratelli tutti. Tutti fratelli, con quel sorriso dell’accoglienza e della
pace dell’anima”.

lunedì 1 gennaio 2024
Violetta
Violetta cammina fucsia, rosa e lillà, capelli tinti rossicci e la sfacciataggine di una richiesta che spiazza: "Scusate, chiedo a voi perché siete donne: potreste aiutarmi a vedere se è chiuso il bottone dei pantaloni che sennò li perdo?"
Oibò, attorno è lo struscio del lungomare barcolano il primo giorno dell'anno. Tutti camminanti, villeggianti, vacanzieri, spensierati, mediamente gioiosi, seppure di gioia vera non è che se ne veda propriamente a palate in questi ultimi tempi.
Fatto sta che dentro mi si apre la voragine della paura della follia, ma per fortuna vicino a me ho una madre che questa paura non l'ha mai avuta. E con la tranquillità più disinvolta del mondo, esperienza di sarta di lungo corso, si avvicina e aggiusta. Proprio come una mamma con una figlia piccola. Ora i pantaloni fucsia sono chiusi a dovere: il bottone è entrato nell'asola. E Violetta vestita di rosa e lillà, come una bambolina, ringrazia e racconta. Perché la solitudine ti fa parlare con gli sconosciuti come se fossi sempre a bordo di un treno che si chiama vita. Ha avuto un ictus, il braccio sinistro è paralizzato, è rimasta per anni in carrozzella e ha tentato tre volte il suicidio. Chi l'ha salvata le ha detto: "Te ga de viver altrimenti chi resta a romper i c...?" Così lei è rimasta a lottare in questa vita, ma ha voluto farlo restando in piedi. Armata soltanto di un bastone che la aiuti a camminare. E' riuscita ad arrivare persino a Roma per una sua privata manifestazione di protesta, e se avessero potuto farlo, le avrebbero dato una medaglia per la sua forza interiore.
Gliela diamo noi, in questo giorno che inaugura un nuovo anno al quale chiediamo di azzerare tutti i conflitti, anche i più apparentemente innocenti ed innocui. Azzerare tutte le antipatie, il malanimo che ogni tanto si insinua, le inutili invidie e gelosie, mostri dagli occhi verdi. Tutto appianare e vestire di rosa confetto, come Violetta che cammina con il bastone e il coraggio di una vera combattente. Il coraggio di chiedere anche a due sconosciute di aggiustarle un paio di pantaloni. Il coraggio delle richieste inaudite. Che solo quelli un po' matti sanno fare.
Ecco, buon Dio, aiutaci davvero a chiedere l'impensabile e a sperare contro ogni speranza. Cara Violetta e cari lettori delle Cosmeticomiche equamente sparsi tra Nord e Sud del mondo, un augurio forte a tutti!

sabato 2 settembre 2023
Storie di umani e granchi blu
Il treno corre e il signore è immerso nella lettura del 'Corriere della sera' del 17 agosto (il pezzo è “postumo”). La conversazione si accende sulla notizia in prima pagina del governatore del Veneto che ha intenzione di distribuire chili di granchi blu alla popolazione della regione per arginare l’invasione di questi anomali crostacei killer: distruggono tutto, persino le reti di pescatori. Urge pertanto una soluzione, che potrà comprendere anche un kit di ricette a base di granchio blu, e il signore si immagina ai fornelli intento a produrre un risotto nel blu dipinto di blu.
Dal granchio blu ai migranti che arrivano sulle coste del nostro Paese il passo
è breve. E’ l’argomento del giorno, o meglio del decennio. “Ah, tutta la gente
che viene dall'Africa! Ah, come sarà il mondo e l'Italia! Quelli hanno bisogno
anche di sfogarsi, quindi le donne dovrebbero essere disponibili…” Gli faccio
vedere che sto leggendo un libro scritto in prima persona da un ragazzo che ha
vissuto sulla sua pelle un viaggio che noi, comodamente seduti su un un treno
ad alta velocità, non riusciamo nemmeno ad immaginare: Fratellino, di Amets Arzallus Antia e Ibrahima Balde, quest’ultimo un
ragazzo della Guinea che parte alla ricerca di suo fratello e fa esperienza di
un vero e proprio calvario. Trasferimenti di città in città a bordo di camion
stracolmi, e poi carceri nel cuore del deserto, prigioni, torture, armi
puntate, la vita che è continuamente messa in pericolo e disumanizzata.
Soltanto perché uno ha deciso di mettersi in viaggio lasciando il suo Paese d’origine
nel cuore dell’Africa.
La dolcezza dell’Appennino fa scordare tutto. “Eh, arrivano senza documenti!” Gli leggo proprio il punto del libro in cui il ragazzo racconta che il documento gli è stato preso e gettato via, per frugare nei suoi vestiti alla ricerca di soldi, e lui stesso dice che senza documenti si vale meno di una capra. Pensare che noi viaggiamo così bene, con l’aria condizionata per non sentire il caldo; abbiamo da mangiare, da bere, siamo liberi di muoverci con tutti i nostri documenti al seguito, non abbiamo paura di incappare in posti di blocco o controllori armati che ci puntano un kalashnikov alla testa, come Ibrahima racconta nella sua storia autobiografica.
Il signore è arrivato a Firenze, ma prima di scendere evoca altri scenari apocalittici: “In futuro cosa mangeremo? Insetti in scatola! Noi avevamo i Medici nel Rinascimento, oggi c’è un decadimento, cosa lasceremo ai posteri? I cellulari!” Vedrà che i giovani lo cambieranno questo mondo, sono molto fiduciosa. “Sì, con l’apericena!” Il signore prende la valigia e raggiunge la porta che si apre sul caldo asfissiante di qualche giorno fa. Invece sotto i miei occhi prosegue il racconto dell’odissea sventurata dei migranti, o meglio di un ragazzo con un nome e cognome, e il sogno di ritrovare un fratello perduto. Non parte perché si era messo in testa di invadere un Paese; non perché desideroso di migliorare la sua situazione di vita; non per guadagnare di più; non per fare il terrorista. Si era messo in viaggio per andare a cercare suo fratello scomparso di casa. Per un legame familiare forte, messo prima di qualunque altra urgenza.
Ed eccola la verità, dopo ore di cammino senza cibo e maltrattamenti di ogni genere. Si trova scritta a p.63: “L’altro giorno, uno di qui mi ha detto che l’Europa dà un sacco di soldi alla Libia perché non lasci partire i migranti, e per questo in Libia ci sono tante carceri piene di gente come me. Io non so se è vero, non capisco molto di politica, ma so cos’è la Libia. La Libia è una grande prigione, ed è difficile uscirne vivi.”
Di fronte a questa affermazione scritta così chiara, nero su bianco, non riesco più a guardare lo schermo con le notizie degli arrivi dei migranti e degli hotspot al collasso come prima. Ora so che cosa c’è dietro a quegli arrivi. Conosco la storia di uno di loro, la sua verità. E’ arrivato a desiderare di voler morire piuttosto che vivere attraversando un continuo inferno in terra d’Africa, diventata uno stato di polizia per chi cerca di percorrerla non per turismo o altri seppur nobili intenti, ma perché africano tra gli africani.
La brama inesauribile di soldi? La miseria? Gli interessi spudorati di un Occidente che vende armi e fa accordi con Paesi diventati stati-prigione? Che cosa è accaduto a quell’enorme continente in questi ultimi decenni, perché oggi non sia possibile muoversi da uno stato all’altro in modo umano? Nel libro-testimonianza di Ibrahima protagonisti di tutto, movente di ogni bruttura ed orrore, sono i soldi: chiesti di continuo, estorti con la forza, rubati. Un mondo senza etica, senza umanità, senza scrupoli. Impossibile anche solo da visualizzare per noi che guardiamo lo splendore del cielo blu intenso centro-italico. E riaffiorano altre dichiarazioni del signore fiorentino: “Come se a noi dicessero: ecco lì troverete il paradiso, vi daranno una casa, e allora noi ci mettessimo in testa di invadere l’Africa!”. Abbiamo fatto precisamente questo in passato, caro signore, con rigore geometrico a partire dalla Conferenza di Berlino del 1884: l’Africa divisa come una torta. Colonizzato ogni centimetro buono da sfruttare.
Ed oggi che cosa siamo capaci di dire? Noi come Italia? Noi come Europa? Se tu stai male e sai che si può stare meglio, non prenderesti il primo treno ad alta velocità per lasciarti tutto alle spalle ed iniziare una nuova vita? Che cosa accadeva all’inizio del Novecento ad Ellis Island, isolotto davanti a New York? Sotto la statua della libertà noi cercavamo un futuro migliore. Perché non rileggiamo i numeri di quella migrazione? “A partire dalla metà del XIX secolo milioni di persone giunsero negli Stati Uniti da ogni angolo del mondo, ma soprattutto dall'Europa. La porta d'ingresso della maggior parte di loro fu New York: tra il 1855 e il 1890 la città accolse otto milioni di migranti.” Milioni, non migliaia. Leggiamolo tutto l’articolo su Ellis Island, l'isola degli immigrati, per capire come, se c’è la volontà di affrontare un problema senza strumentalizzazioni politiche o vili preoccupazioni elettorali, la soluzione si trova.
Mentre arriviamo a destinazione e fuori sfila il verde, la bellezza, i borghi medievali, sfilano anche le notizie date in pasto ai passeggeri come noccioline: i 2000 migranti che affollano l’hotspot di Lampedusa, il “problema” al quale sembra che nessuno riesca a trovare una soluzione: politici nostrani, politici europei, riunioni, tavoli, tanta materia grigia che dovrebbe occupare una posizione per affrontare un “problema” che potrebbe essere risolto con l’accordo, con la mediazione, con l’intelligenza, con gesti concreti. Anche piccoli, come quello della signora che l’altra mattina ha chiamato la trasmissione di Radio3 ‘Prima pagina’ per dire che lei, di sua spontanea iniziativa, sta ospitando una famiglia irachena, e che sarebbe tanto bello se il Governo potesse finanziare programmi di accoglienza come quello messo in pratica dalla signora generosa e di buon cuore senza leggi né decreti sicurezza.
Dove sei, Italia? Dove sei, Europa? Abbiamo ancora un’etica? Crediamo ancora nella nostra Costituzione? Crediamo davvero che siamo tutti un’umanità unica e che non ci si salva da soli? Possibile che siamo capaci di trasformare un dramma così complesso in notiziole di cronaca che non fanno altro che alimentare razzismi, incomprensioni ed intolleranze?
“Informiamo i gentili passeggeri che siamo in attesa dell'autorizzazione alla ripresa della corsa”, dice la voce asettica dal treno. Mi viene in mente per contrasto la voce potente di padre Alex Zanottelli, missionario e profeta tuonante dei nostri tempi, che chiedeva proprio l’anno scorso più attenzione per le notizie dall’Africa, continente sfruttato ma dimenticato da noi che viviamo in questa parte fortunata del pianeta. Tutti noi dovremmo leggere Fratellino per non omologarci al pensiero dominante e continuare a comprendere sempre meglio il mondo in cui viviamo. Grazie a papa Francesco per aver suggerito questa lettura durante la conferenza stampa di rientro dalla Gmg di Lisbona, lo scorso 6 agosto.
Stiamo arrivando e un signore si lamenta perché dice che hanno speso milioni di euro per far viaggiare questo treno a 100 all'ora invece che a 300. In Africa il regno del terrore, spari, fucili, crimini contro l’umanità che forse non avranno mai tribunali a giudicarli; qui il lamentificio nazionale. Chi si rimbocca le maniche o denuncia? Si accomodi, prego, ecco servita una bella carbonara al granchio blu.

martedì 22 agosto 2023
Signore e signori,
ecco a voi la grande bellezza.
Roma non è una città dove andare o un luogo da visitare. E non è nemmeno la capitale d'Italia.
Roma è un'esperienza da fare. Da tuffarsi dentro senza perdere tempo a fare paragoni. Solo lasciare che la città ti conquisti.
Dalle un po' di tempo. Non accadrà subito, come quando conosci una persona. Non la conosci in due ore o in un giorno. Dalle almeno tre giorni, dalle tempo di farti resuscitare dalle tue morti e tristezze e varie malinconie. Dalle persino il tempo di scaldarti le ossa dopo il surgelamento da aria condizionata subito sul treno.
Quando sta per scoccare la la mezzanotte di fronte a quell'eterno splendore della fontana dei quattro fiumi di Bernini in piazza Navona, può capitarti di essere riconosciuta da un giornalista siculo pensionando, che gironzola per la capitale da solo ma ha buona memoria e parte con una serie di considerazioni sul reddito di cittadinanza e la pensione minima. Poi fa domande su Trieste e cita "La rosa rossa", film con Alain Cuny da vedere assolutamente. Il giornalista dice che lui in pensione non ci vuole andare, quindi continuerà a scrivere per tenersi vivo. Gratis ma continuerà a farlo per non ritrovarsi soltanto a bighellonare nei giardini della città eterna.
L'estate è la gioia di stare assieme, dice la pubblicità del cornetto intercettata dal treno.
Roma è la gioia di stare assieme. Ti riconcilia con il mondo. E' il mondo. E' l'accampamento di poveri senzatetto fuori dalla stazione Termini, ed è la fila fuori dal locale che fa schiacciate farcite con creatività toscano-romana. Odori avvolgenti di pecorino, mortadella, tartufo, prosciutto stagionato. I turisti impazziscono e impazzisco pure io che chiedo ben tre focacce, due delle quali chiamate "paradiso". Perché sono in paradiso. Guardo in alto il cielo blu e la sagoma curva, dolce, sinuosa della chiesa di S.Maria Maddalena. Ave crux spes unica. Ragazzi, guys, permesso! Un ragazzo si fa largo tra gli avventori, portando palate di focaccia che diventeranno i panini imbottiti più amati dai turisti dietro al Pantheon.
"Ma tu di dove sei?" Lo chiedono alla signora cinese i ragazzi mentre lavorano con puro stile romanesco, sempre all'insegna della massima efficienza e del massimo relax. "Di Bologna!" Risata fragorosa, affetto puro ed affettato, tutto insieme nelle sette focacce che la signora ordina per tutta la famiglia. Poi è il mio turno. Prendo tre ma ne pago due "perché la signora me sta simpatica", dice il ragazzo che farcisce. Mi arriva pure una bottiglia di vino rosso offerta come omaggio a quel gran genio "incompreso" - parola del ragazzo che la sa lunga - di Luttazzi e al suo "Can de Trieste". E ghe piasi el viiiiiiiin, cantiamo assieme e si riparte con il cuore che si è ormai scaldato.
Bus, trenino e di nuovo bus, e compaiono le dune dei cancelli di Ostia: spiagge libere, alla portata di tutti, dove capita di trovare di tutto. Un popolo multicolore, multiodore, multietà. Già sul trenino da Ostiense, fermo poco dopo essere partito. Nessuno si muove anche se una voce femminile dice di scendere perché "non c'è tensione". Proprio vero, a me è davvero sparita ogni tensione che mi portavo dentro. Anche il torcicollo con cui ero partita. Mi sento a casa, rilassata, e in buona compagnia.
Nonostante la voce dica di scendere, nessuno si muove, in compenso la signora seduta vicino ne approfitta per fare due chiacchiere: quasi mezz'ora di predica e racconto autobiografico, pressoché senza interruzioni. Roma mi ha insegnato l'arte dell'ascolto e del dialogo, specie con gli sconosciuti. Ora lo riconosco, me lo ricordo. Ora che sono completamente sbrinata e rilassata ritrovo le sorgenti di quell'arte di vivere che mi ha fatto restare per sedici anni lì, lontana da casa, dove ho trovato varie case che mi hanno accolta. Storie di accoglienza, di cuori caldi, di cuori pulsanti di vita. Come quello della signora ucraina che inizia a raccontarmi tutta la sua vita, guerra inclusa e alcune perle sapienziali: abbiamo 8 ore per lavorare, 8 ore per dormire, 8 ore per lodare la creazione.

domenica 6 agosto 2023
Grazie, ragazzi!
Grazie, ragazzi che concludete oggi l'esperienza delle Giornate mondiali della Gioventù di Lisbona. Noi vi abbiamo visti da qui, dalle televisioni di casa o degli alberghi dove ci trovavamo in vacanza. Maltempo ed emergenza, così la televisione si accende e finalmente è portatrice di buone notizie. E si riaccende la gioia, la speranza, la bellezza. "Terrorizzati dal bello perché vissuti nel marcio", avevo sbirciato nel profilo Whatsapp di un ragazzo talentuoso con molti sogni e già qualche sasso di troppo nelle tasche. E forse è così per molti, non solo giovani. Assuefatti da troppa negatività, abbiamo quasi paura di aprirci al sole che abbaglia.
E allora, ancora di più, un enorme grazie a tutti voi che ci avete messo testa, cuore, gambe, il corpo intero per ritrovarvi assieme lì: un milione e mezzo, abbiamo sentito, da tutti gli angoli del mondo. Vi hanno inquadrati le telecamere: belli, assorti nella preghiera, nella pace o nella gioia straripante, nel silenzio e nel canto a squarciagola, e qualcuno magari avrà storto il naso, perché c'è sempre chi, di fronte ad un eccesso di gioia, non riesce a reggere e deve per forza dire che è tutto esagerato, che è troppo, che insomma i problemi del mondo sono tali e tanti che tutto questo è quasi uno spreco di vita.
Ma voi siete andati avanti, seguendo quell'uomo meraviglioso che è Papa Francesco e la sua forza interiore. Quella forza che soltanto la fede vera riesce a suscitare con naturalezza e spontaneità. Vi siete davvero tutti sentiti chiamati per nome, come ha ripetuto il Papa, inondandovi di un amore che fa sentire "amati così come siamo adesso, non come vorremmo essere. Senza truccarsi, senza make-up". Sono certa che in quel momento vi sarete sentiti unici, speciali, e non soltanto numeri, come ben detto da Francesco citando il rischio di una realtà virtuale che "vi conosce per nome ma non vi chiama per nome". E poi quel "todos, todos, todos", ripetuto tante volte. "Nella Chiesa c'è posto per tutti!"
Nel giorno in cui ascoltavo queste parole e prendevo appunti sull'immancabile quadernetto tascabile da viaggio, c'era stato un incrocio di grandi eventi da segnare: la morte di suor Elvira, la "suora dei drogati" fondatrice della Comunità Cenacolo sulla collina di Saluzzo quarant'anni fa, e oggi realtà tangibile di guarigione e rinascita per migliaia di ragazzi di tutto il mondo; la nascita di un bambino da una madre giovanissima e già sola, ma sostenuta dall'affetto di una brava nonna; e sempre quel giorno su una spiaggia di una rinomata località balneare una madre e una figlia affrontavano le sferzate di un vento di scirocco capace di mettere a dura prova i nervi e il fisico di entrambe, per essere poi guarite dalla potenza del mare in tempesta e dall'umorismo da commedia all'italiana che sempre salva.
Noi qui di fronte al mare e voi lì, di fronte a quell'oceano da quale partirono esploratori finiti poi nei libri di storia. E nei libri di storia ci finirete anche voi, perché mai si erano visti telegiornali iniziare con una simile bella notizia e con immagini così abbaglianti di fiumi di ragazzi accorsi in uno stesso luogo non per un cantante, non per una manifestazione politica, ma per ritrovarsi uniti da una stessa luce che non conosce confini né barriere ideologiche.
Inondate il mondo di gioia, di pace, di bellezza, ragazzi! Non fatevi tirare giù né dalle nubi vere né dalle quelle che nascono dentro durante il percorso della vita per i motivi più diversi. "Cadere e rialzarsi", ha ripetuto il Papa ieri sera durante la veglia. E ancora oggi: "Non abbiate paura!". Abbiamo così tanto bisogno di iniezioni di fiducia, di speranza, toccando con mano e non soltanto con un clic che la fede vera illumina lo sguardo e fa sentire tutti fratelli. Ritornare nel quotidiano sarà la sfida più difficile, ma tenendo desta nel cuore l'esperienza vissuta in prima persona e cercando sempre e ovunque compagni di viaggio attorno a voi, anche la strada più tortuosa diventerà un sentiero percorribile.
Tornerete presto all'abbraccio dei vostri genitori e dei vostri amici, e magari troverete il coraggio di fare scelte impensate prima di partire. E guarderete il mondo con occhi nuovi. E porterete ciò che avete vissuto come regalo a chi troverà finalmente il tempo di ascoltarvi. E sarete voi, ne sono certissima, a fare quello che tanti adulti che occupano importanti posizioni di potere non riescono ancora a fare: credere davvero nella pace e nella possibilità di una convivenza gioiosa di tutti su questa piccola palla multicolore che è la nostra Terra vista dal mappamondo di casa.

lunedì 17 luglio 2023
Dovere di cronaca (seppure con un giorno di ritardo)
Tutto inizia con una visione: luci imbizzarrite tra le nuvole della sera. Saranno mica degli ufo di mezza estate? Tutto è possibile ormai dalle nostre parti: il clima cambia, la guerra impazza a pochi chilometri da casa, l'Intelligenza artificiale promette di soppiantare le nostre ormai flebili intelligenze umane. Sarà forse arrivato il tempo dei marziani che approdano sulla Terra?
Si sale in terrazza per avvistare meglio. Niente ufo, in lontananza echi di voci musicali e raggi di luci che si muovono da un punto imprecisato lì lontano...le prove generale dei Måneskin? Si va a dormire con questa supposizione nel cuore. Via Whatsapp il parroco della nostra chiesa di periferia conferma: sì, terribile.
Bene, siamo tutti pronti, zitti e buoni. O meglio accaldati e nel vortice di Caronte che sta per traghettarci tutti all'altra riva, dove sconteremo i nostri vari e numerosi peccati. Ma prima lasciateci divertire. Lasciateci vedere la periferia che si apre all'arrivo di un'ondata internazionale di fans approdati da mezzo mondo qui, in quest'angolino di Nord-Est. Venticinquemila dentro lo stadio. Ma la festa si fa anche fuori.
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro, canta Damiano. E noi restiamo fuori. Ma ci siamo. L'evento era stato annunciato da mesi, addirittura per loro si è aperta biblicamente, come Mosè nel mar Rosso, la Galleria di Piazza Foraggi chiusa da più di un anno. "Mi no me piasi perché i se spoia troppo", aveva minimizzato l'impiegato di un supermercato a pochi metri dallo stadio dove si sarebbe esibita la rock-band romana. "Non riesco a spiegarmi il perché di questo fenomeno, quali messaggi portano", chiedeva poi un caro amico non più giovanissimo.
Ed eccolo il messaggio che arriva da solo: il vuoto si riempie, la periferia si anima, chioschi fuori dallo stadio, ragazzi accampati dal mattino sotto ombrellini colorati anti-sole, parcheggi stipati la sera. Quei luoghi del deserto che sono casa tua, dove sai che succederà molto poco e si troverà sempre posto, improvvisamente diventano i più richiesti e gettonati. Si accendono i riflettori sul nulla. E gioia sia! Le case che si affacciano sullo stadio sfolgorano di luci e persone assiepate sui balconi o alle finestre a godersi lo spettacolo.
Questo è il messaggio, caro amico: che ragazzi e ragazzini si risvegliano dalle catacombe, escono di casa, non cliccano più soltanto video su Tik-tok ma partecipano, esistono, si fanno vedere. E si divertono, magari anche assieme ai loro genitori. E questo è un messaggio ed è una notizia. La musica è sempre energia allo stato puro, risveglia i morti, unisce generazioni, può entusiasmare anche quando la calura fa sudare ad ogni respiro.
E bisogna andare a vedere. Proprio perché è tempo di stare assieme non solo virtualmente. Urge ritrovarsi vicini, vedere che ci siamo, che esistiamo anche in formato grande festa collettiva. Pure senza biglietto, che oggettivamente costa un po' troppo come mi conferma il vecchio compagno di scuola (trecento euro, avesse voluto portare tutta la famiglia).
Fuori non sono molti a ballare, si preferisce piuttosto fare video, riprendere, anche solo il triangolino di maxischermo messo a fuoco dalla strada retrostante. Ma come si fa a stare fermi quando la terra tuona? "Questa sarà una serata memorabile", dice Damiano all'inizio, poco dopo le 21. Memorabile è stato già uscire di casa e trovare parcheggio, coinvolgendo nella folle impresa l'anziana madre che mantiene uno spirito da ragazzina ma non si capacita di vedere la figlia agitarsi come una menade impazzita. Ma qui non occorre essere fan sfegatati per muoversi: i brani più famosi della band sono ormai diventati gingle, musiche pubblicitarie, patrimonio sonoro condiviso. Impossibile rimanere impassibili.
Quindi Marlena torna a casa, e anche noi ci ritiriamo con quell'ebbrezza adrenalinica che solo i concerti sanno trasmettere. Ma i Måneskin sono sempre con noi. Stamattina al telefono con un call-center per cercare di risolvere una delle tante simpatiche grane associate all'acquisto di un nuovo cellulare: voce registrata e "Gossip", poi la signorina mi passa un altro operatore, e parte il ritornello di "I wanna be your slave". Musica e telefoni, musica e comunicazione, musica e questo magico mondo multimediale dal quale ci sentiamo sempre un po' blanditi e ingannati. Ma pur sempre musica, che muove il cor (sic!) e le altre stelle. Anche di una notte cocente di mezza estate.

domenica 18 settembre 2022
May you live in interesting times
Se ne sta lì fermo da almeno tre mesi. Lo yacht più grande del mondo, dice Wikipedia, inutilmente arenato nelle acque del golfo di Trieste a fare nulla. Sotto sequestro perché di proprietà di un oligarca russo, e se questa storia l’avessimo raccontata un anno fa, molti si sarebbero chiesti perché: perché la ricchezza che tanti agi promette, diventa invece paralisi totale nelle acque del mare che quel potentissimo yacht potrebbe solcare con il massimo della libertà concessa ad un supermiliardario.
Eppure
è così, ed è una delle conseguenze di questa folle guerra rispetto alla quale
sembriamo diventati afoni. Muti. Impotenti. Oggi forse addirittura
indifferenti. Solo Papa Francesco, puntualmente, assegna l’aggettivo giusto
alla guerra: crudele, folle, insensata. Credo sarebbe il primo a scendere in
piazza se ci fossero ancora manifestazioni per la pace. Ma invece nulla, eccoci
qua, a quasi sette mesi dall’aggressione russa dell’Ucraina, appiattiti su
un’altrettanto folle campagna elettorale consumata nel caldo atroce di
un’estate italiana agli sgoccioli.
L’oligarca
proprietario dello yacht che staziona nelle acque del golfo ha risparmiato sul
nome da dare all’imbarcazione: soltanto un’iniziale, A. Ed A. è lì, davanti ai
nostri occhi ogni giorno: un carro armato gelido, metallico, impenetrabile, con
tre alberi che lo rendono riconoscibile da qualunque parte lo si guardi. Anche
lui muto, impotente, spettatore mastodontico di ciò che accade sulla terra
ferma.
Proprio
per non diventare anche noi tutti spettatori di quanto accade attorno a noi,
condivido alcuni pensieri e scarabocchi segnati a matita su un librino portato
in spiaggia (quelle di cemento triestine) lo scorso agosto. Mentre davanti alla
Tv scorrevano le immagini e le parole dei vari leader di partito in corsa per
queste elezioni, mi è venuto in mente un volto: quello di una persona buona,
onesta, pulita. Il volto di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato a 13
anni di carcere per aver trasformato il suo comune in un modello di
accoglienza. Ho digitato su Google il suo nome per un aggiornamento: la sua
condanna è in corso di revisione e si è costituito anche un comitato a sua
difesa. Il mese scorso ha dichiarato: “Siamo
di fronte a una destra pericolosa, che mi dà un’idea della politica della
punizione, che ostacola, rifiuta, chiude, rafforza il confine, parla di
sicurezza, di armi. Io la penso come Gino Strada, sono contro la guerra. La
sicurezza non giustifica la vendita di armi” (https://www.ilsussidiario.net/news/mimmo-lucano-questa-e-una-destra-disumana-e-pericolosa-la-sinistra/2384878/)
Solo
mettere a fuoco la figura di quest’uomo buono e giusto, condotto ad agire in
politica non per personale convenienza ma per umanità, può suggerire da che
parte stare in questo momento, quando sono ancora molte le persone che dicono
di non voler votare: come votare partiti che hanno provocato questa stessa
crisi? Che all’inizio di quest’anno non sono riusciti nemmeno ad esprimere una
preferenza condivisa per l’elezione del presidente della Repubblica?
Poi
nella mente mi si è affacciato un altro viso caro: quello di padre Alex
Zanottelli, il missionario comboniano oggi 84enne che ricordo in prima fila all’enorme
manifestazione per la pace a Roma nel 2004. Dopo tanti anni in Africa, ha
scelto di vivere a Napoli, osservatorio privilegiato da cui far sentire la voce
di profeta dei nostri tempi. Ecco il suo ultimo messaggio, inviato da un amico
via whatsapp. Sì, è lungo ma vale la pena di leggerlo. Si intitola “Rompiamo il
silenzio sull’Africa” ed è rivolto a tutti i giornalisti.
“Non vi chiedo atti eroici, ma solo di
tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo
italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.
Scusatemi se mi rivolgo
a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed
emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista,
uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno
spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto.
Trovo infatti la maggior
parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così
superficiali, così ben integrati nel mercato globale.
So che i mass-media,
purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui
ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta
accadendo in Africa.
Mi appello a voi
giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio
mediatico che grava soprattutto sull’Africa.
È inaccettabile per me
il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato
dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato
almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.
È inaccettabile il
silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo
sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie
del Darfur.
È inaccettabile il
silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di
rifugiati interni ed esterni.
È inaccettabile il
silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con
centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.
È inaccettabile il
silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile
che non sembra finire mai.
È inaccettabile il
silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i
potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato
dell’Africa nera.
È inaccettabile il
silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti
contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.
È inaccettabile il
silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove
arrivano i nostri minerali più preziosi.
È inaccettabile il
silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud
Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli
ultimi 50 anni secondo l’ONU.
È inaccettabile il
silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere
tre quarti del suo territorio non abitabile.
È inaccettabile il
silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che
non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a
fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un
valore di 14 miliardi di euro!).
Non conoscendo tutto
questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente
stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi.
Questo crea la paranoia
dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.
Questo forza i governi
europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con
l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i
migranti.
Ma i disperati della
storia nessuno li fermerà.
Questa non è una
questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU
si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo
dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo
che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica
economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese,
dall’ENI a Finmeccanica.
E così ci troviamo con
un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine
di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria
dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri
nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).
Per questo vi prego di
rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne.
Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di
voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate
nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a
fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico,
molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per
bloccare i migranti?
Non possiamo rimanere in
silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.” (https://www.articolo21.org/2022/08/rompiamo-il-silenzio-sullafrica-appello-di-padre-alex-zanotelli/)
Nel
bar dove segno tutto questo mi viene incontro un’ultima ancora di salvataggio:
“May you live in interesting times”, bustina di zucchero targata Biennale Arte
2019. Tre anni fa, prima della pandemia, della guerra e di tutto ciò che
viviamo oggi, qualcuno ci aveva augurato di vivere in tempi interessanti. Che
questo accada davvero. Non lasciamoci abbindolare dagli slogan e seguiamo la
linea tracciata da chi ha vissuto sulla propria pelle cosa voglia dire
ricchezza, povertà, ingiustizia, accoglienza, tenerezza. Poco prima di morire
anche un grande intellettuale e giornalista italiano, Edmondo Berselli, l’aveva
scritto in un libriccino pubblicato postumo (L’economia giusta): “Dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno
soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Ma
dovremo farci l’abitudine. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche noi
tutti dovremo rallentare. Proviamoci, con un po’ di storia alle spalle, con un
po’ d’intelligenza e d’umanità davanti”.
